Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
19 dicembre 2009 6 19 /12 /dicembre /2009 12:49

IL CONSENSO INFORMATO:


A grande richiesta dei lettori si trasmette il video da me registrato.



Condividi post
Repost0
2 luglio 2009 4 02 /07 /luglio /2009 10:33

Sentenza della Cassazione (sintesi)

La Suprema Corte di Cassazione (Sesta Penale con sentenza n.45809 depositata  l'11 dicembre) ha statuito che anche i "Cellulari" ed "Internet"  entrano di diritto tra i mezzi di sussistenza che il genitore separato deve garantire al figlio non convivente. Per i  Supremi giudici, infatti,  per mezzi di sussistenza, non si può più, come una volta, intendere solo "il vitto e l'alloggio", devono essere inclusi anche i telefonini ed internet. Tali mezzi di  sussistenza, ovviamente, vanno elargiti  "in rapporto  alle reali  capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato"  

NOSTRO COMMENTO: Meditate gente prima di sposarvi!

Condividi post
Repost0
2 luglio 2009 4 02 /07 /luglio /2009 10:30

Notizie utili per i Medici:

Medici : riconoscimento indennità di rischio radiologico per  specializzandi e specializzati dal 1998 ad oggi.


 I medici specializzandi e specializzati dal 1998 ad oggi possono  agire in giudizio per il riconoscimento dell'indennità di rischio radiologico prevista dalla L. 460/88. L'indennità spetta a coloro i quali hanno operato e operano nei servizi di radiologia (L.460/88) ed il compenso sostitutivo del congedo straordinario aggiuntivo (L.724/94) di gg.15. Si avvertono i medici di agire con urgenza per evitare la prescrizione con la conseguente perdita del diritto ai suddetti benefici.


Contributi per il riscatto della laurea - Sommario:

 

Il riscatto della laurea

I lavoratori dipendenti, i lavoratori autonomi, i lavoratori iscritti ai Fondi speciali di previdenza

e i lavoratori soggetti al contributo per il lavoro parasubordinato (collaboratori coordinati e

continuativi, venditori porta a porta, liberi professionisti senza Cassa di categoria) possono

coprire, con i contributi, il periodo del corso legale di laurea (non vengono presi in

considerazione gli anni "fuori corso").

 

TITOLI EQUIPARATI ALLA LAUREA

Sono equiparati alla laurea:

  • la laurea conseguita all'estero purché sia riconosciuta o abbia valore legale in Italia;
  • le lauree in teologia o in altre discipline ecclesiastiche conseguite presso facoltà

riconosciute dalla Santa Sede.

Sono riscattabili anche i periodi di studio per conseguire il diploma di tecnico di audiometria,

fonologopedia e audioprotesi rilasciato da una scuola universitaria.

A seguito della normativa introdotta dal decreto legislativo 184 del 30 aprile 1997 in materia

di riscatto di laurea, in vigore dal 12 luglio 1997, sono riscattabili anche, sempre che non

siano coperti da contribuzione, i periodi corrispondenti alla durata dei corsi di studio

universitario a seguito dei quali siano stati conseguiti:

  • i diplomi universitari (corsi di durata non inferiore a due anni e non superiore a tre);
  • i diplomi di specializzazione;
  • i dottorati di ricerca, successivi alla laurea di durata non inferiore a due anni.

Il riscatto può riguardare tutto il periodo o singoli periodi.

A partire dal 12 luglio 1997 è data la facoltà di riscattare due o più corsi di laurea, anche per

i titoli conseguiti anteriormente a questa data. E' necessario che i titoli conseguiti per i corsi

di laurea siano rilasciati da un'università. Torna su


REQUISITI E DOMANDA

  • Aver conseguito il diploma di laurea o titoli equiparati;
  • aver versato almeno un contributo settimanale all'Inps in qualunque momento della vita

assicurativa;

  • i periodi per i quali si chiede il riscatto non devono essere coperti da contribuzione

obbligatoria o figurativa o da riscatto chiesto in altri regimi previdenziali.

La domanda può essere presentata in qualsiasi momento, ma è conveniente chiedere il

riscatto al più presto perché, più ci si avvicina all'età del pensionamento, maggiore è la

somma da pagare per il riscatto.

La domanda va presentata alla propria Sede dell'Inps, direttamente dall'interessato, o

tramite uno degli Enti di patronato riconosciuti dalla legge, compilando l'apposito modulo

"RL1".

Al modulo va allegato:

  • il certificato rilasciato dall'Università che attesti il conseguimento del diploma di laurea o


TITOLI EQUIPARATI ALLA LAUREA

Pagina 2 di 4

il tipo di diploma (in caso si tratti di diploma universitario diverso dalla laurea) e gli anni

in cui si è effettivamente svolto il corso legale di studi;

  • il mod. 01M/sost. rilasciato dal datore di lavoro che attesta la retribuzione percepita al

momento della domanda.

Il riscatto può essere chiesto anche dai familiari superstiti che hanno diritto alla pensione di

reversibilità. Torna su


L'IMPORTO

L'importo è calcolato dall'Inps sulla base della retribuzione media pensionabile riferita alla

data della domanda. L'Inps invia al domicilio del richiedente i bollettini per il pagamento e

comunica la somma da pagare.L'importo può essere pagato in unica soluzione o fino a 120

rate mensili (dieci anni) senza interessi.Il riscatto potrà essere richiesto anche prima

dell'inizio dell'attività lavorativa. In questo caso il contributo per ogni anno da riscattare è pari

all'importo derivante dall'applicazione dell'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche

per i lavoratori dipendenti (33%) al minimale imponibile per artigiani e commercianti

(13.598 euro per il 2007).I periodi così riscattati sono utili ai fini del raggiungimento del diritto

alla pensione.

Esempio

Un neolaureato che intenda riscattare la laurea nel 2007 pagherà quindi 4.487

euro per ogni anno di studi (13.598 x 33%).Il contributo è fiscalmente deducibile dall'interessato

o detraibile dall'imposta dovuta dalle persone di cui egli risulti fiscalmente a carico

(ad esempio i genitori), nella misura del 19% dell'importo stesso.

Torna su


IL RICORSO

Nel caso in cui la domanda di riscatto di laurea venga respinta, il richiedente può presentare

ricorso all'Inps, in carta libera, entro 90 giorni dalla data di ricezione della lettera con la

quale si comunica il rifiuto, indirizzandolo al:

  • Comitato del Fondo pensioni lavoratori dipendenti

se si tratta di lavoratore dipendente

  • Comitato amministratore dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e

dei commercianti

se si tratta di artigiano e commerciante

  • Comitato amministratore della gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali

dei coltivatori diretti, coloni e mezzadri

se si tratta di coltivatore diretto, colono o mezzadro

  • Comitato amministratore della Gestione separata

se si tratta di un lavoratore parasubordinato o libero professionista

Il ricorso può essere:

  • presentato dall'interessato agli sportelli della Sede dell'Inps che ha respinto la

domanda;

  • inviato, dall'interessato, alla Sede dell'Inps per posta con raccomandata;


L'IMPORTO

Pagina 3 di 4

  • presentato o inviato alla Sede Inps anche tramite uno degli Enti di Patronato

riconosciuti dalla legge.

Al ricorso vanno allegati tutti i documenti ritenuti utili dall'interessato per l'accoglimento.



 

 

Condividi post
Repost0
2 luglio 2009 4 02 /07 /luglio /2009 10:27

RICORSO MEDICI SPECIALIZZANDI SU COME OTTENERE STIPENDIO, CONTRIBUTI ED ALTRO.

A cura di Avv. Fernando Cannizzaro.-

 

A tutti gli specializzandi ed agli specialisti, specializzatisi dal 2002 ad oggi, potrà essere utile tenere presente il seguente parere legale e determinarsi di conseguenza:

 Nell'Agosto del 1999 è stato emanato il decreto legislativo n.368, che ha recepito la Direttiva Comunitaria n.93/16/CE in ambito di libera circolazione dei Medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi certificati ed altri titoli. Nel dicembre dello stesso anno, tuttavia, il decreto legislativo n.517/'99 bloccava l'applicazione degli articoli dal 39  al 41 del decreto legislativo n.368/99 riguardanti gli emolumenti dei medici in formazione specialistica, la copertura assicurativa per la responsabilità civile e la facoltà dell'esercizio della libera professione. Il Governo Italiano, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6 luglio 2007, ha definito lo schema tipo di contratto di formazione specialistica ai sensi dell'art. 37, comma 2, del decreto legislativo n.368/99. Con la definizione del contratto di formazione il medico specializzando, che fino ad ora percepiva solamente una borsa di studio,  si vedrà corrispondere un trattamento economico solamente a partire dall'anno 2006. E' evidente la disparità di trattamento che viene a concretizzarsi nei confronti di coloro che hanno già terminato o che stanno per terminare il corso di specializzazione rispetto a coloro i quali, invece,  godranno di diritti che, seppure riconosciuti con il decreto legislativo n.368/99, di fatto non sono mai stati resi operativi a causa dell'inadempimento dello Stato italiano. I medici in formazione specialistica ed i medici specializzati potranno fare valere i propri diritti al fine di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione del decreto legislativo n.368/99.

STRATEGIE DA ADOTTARE: Occorrerà consentire a tutti gli aventi diritto di ottenere l'applicazione retroattiva del decreto legislativo n.368/99 e, quindi, il recupero delle differenze retributive non percepite e dei contributi previdenziali dal 2002 in poi (per  gli anni dal 1999 al 2002 occorre verificare come aggirare il problema della prescrizione) . Per semplificare si rappresenta: A) specializzandi del primo anno: fare diffida per il rimorso delle tasse di iscrizione, in quanto hanno dovuto pagare per l'intero anno, invece di circa 3/12 effettivamente dovuti; B) specializzandi del secondo anno in poi e medici già specializzati: fare azione legale per sollecitare il pagamento degli arretrati dal 2006 ad oggi; Intentare causa per ottenere la corresponsione dei contributi previdenziali dal 2002 ad oggi. Con i migliori auguri!


 

Condividi post
Repost0
2 luglio 2009 4 02 /07 /luglio /2009 10:25

Tutela della maternità. L'astensione anticipata "lavori pericolosi, faticosi ed insalubri" Cosa prevede la normativa al riguardo.

di Avv. Fernando Cannizzaro


Da più parti mi si è stato chiesto  di trattare  sul Blog  questo argomento . Dal momento che Noi abbiamo improntato la filosofia di questo sito volta ad accontentare i lettori obbediamo di buon grado.

La normativa posta a tutela della maternità  vieta di adibire la donna  durante la gravidanza  e per sette mesi dopo il parto a "lavori pericolosi, faticosi ed  insalubri". La lavoratrice che si trova in questa situazione va adibita ad altre mansioni :  se non è possibile, deve essere concessa l'astensione anticipata.

La Commissione Europea , in ottemperanza alla direttiva 92/85/Cee  ha istituito delle linee guida sulla sicurezza delle gestanti, puerpere o allattanti per delineare il rischio specifico  intervenendo per non far subire danni   alla salute.  Al riguardo anche la Suprema Corte si è pronunziata con la sentenza n.460/06, In estratto:

(C-460/06) POLITICA SOCIALE - TUTELA DELLE LAVORATRICI GESTANTI - DIVIETO DI LICENZIAMENTO TRA L'INIZIO DELLA GRAVIDANZA E IL TERMINE DEL CONGEDO DI MATERNITA' - INTERPRETAZIONE. La Corte ha stabilito che il divieto di licenziamento della lavoratrice durante il periodo di tutela deve essere interpretato nel senso che esso vieta non soltanto di notificare una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio (durante il periodo stesso), ma anche di prendere misure preparatorie ad una tale decisione prima della scadenza di detto periodo. Per la Corte, la decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio è contraria alla direttiva 76/207, qualunque sia il momento in cui tale decisione di licenziamento venga notificata, e anche se essa è notificata dopo la scadenza del periodo di tutela.

Per entrare nello specifico, il datore di lavoro, deve determinare a quali rischi la lavoratrice gestante o puerpera  o in periodo di allattamento si trova esposta e rimuovere il pericolo tempestivamente informandone la donna sulle misure che intende adottare.

Ancora: Maternità anticipata

Il congedo di maternità può essere anticipato al verificarsi delle seguenti condizioni:

a)  nel caso di gravi complicanze della gestazione o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere intensificate dallo stato di gravidanza.

b)   quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;

c)    quando la lavoratrice non possa essere adibita ad altre mansioni.

La disposizione si applica anche alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari.

L'astensione anticipata deve essere autorizzata dai Servizi Ispettivi del ministero del Lavoro che si avvalgono del SSN.

 

Cosa deve fare la lavoratrice che vuole richiedere la maternità anticipata?

La lavoratrice deve rivolgersi al proprio medico curante e farsi rilasciare una proposta di astensione anticipata dal lavoro e successivamente, con questa, presentarsi alla propria ASL per ottenere dallo specialista il certificato regolamentare che dovrà poi essere consegnato ai servizi ispettivi della Direzione Provinciale del Lavoro attestante le condizioni previste dall' art.17, comma 2, lettera a) del T.U. n.151/2001. Se la Dir. Prov.le del Lavoro non emette il provvedimento entro sette giorni la richiesta si intende accolta. In caso di dipendenza privata la trasmissione del provvedimento va anche inviata all'INPS.

Al termine del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, quando la madre riprende l'attività lavorativa, deve essere allontanata, sino al settimo mese dopo il parto, da ambienti pericolosi e pregiudizievoli e servizi gravosi. In caso di impossibilità ad altre mansioni deve essere disposta l'interdizione dal lavoro.

Il congedo anticipato di maternità e/o l'interdizione post partum va calcolato a tutti gli effetti dell'anzianità di servizio, delle ferie e della tredicesima mensilità. Il servizio è utile ai fini pensionistici e previdenziali (Tfr o INPS) ed è considerato attività lavorativa anche ai fini della progressione della carriera. Per tutto il periodo suddetto la lavoratrice ha diritto all'intera retribuzione, compresa la tredicesima mensilità (con esclusione del lavoro straordinario).-

                          RIASSUMENDO: si richiamano al riguardo le indicazioni dell'Inail:

"ESAMI PRENATALI
La legge ha riconosciuto l'importanza che gli accertamenti diagnostici hanno per la tutela della salute della donna lavoratrice e del nascituro ed ha quindi disposto che le lavoratrici gestanti hanno diritto ad assentarsi durante l'orario di lavoro per sottoporsi ad esami prenatali da effettuarsi in tale orario. Lo prevede l'art. 7 del Decreto Legge n. 645/1996, che ha recepito la direttiva CEE n. 92/1985, concernente il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. (art. 14 Decreto Legislativo 26 marzo 200, n. 151 - Testo Unico).

Cosa fare
Per fruire del diritto ad assentarsi dal lavoro per esami prenatali, la lavoratrice deve presentare al Responsabile dell'Unità di appartenenza:

  • specifica domanda, nella quale devono essere indicati data ed ora degli esami con dichiarazione che gli stessi non sono effettuabili al di fuori dell'orario di lavoro;
  • documentazione giustificativa, rilasciata dalla struttura cui la lavoratrice si è rivolta dalla quale risulti la data e l'orario di effettuazione degli esami (dalle ore ...... alle ore ........).

Riflessi economici
Le ore di assenza per esami prenatali vengono retribuite normalmente ed hanno lo stesso trattamento della "malattia dovuta a gravidanza": pertanto restano escluse dalla retribuzione le sole voci relative al salario accessorio di cui al contratto integrativo aziendale.

Riflessi sul rapporto di lavoro
Le ore di assenza per esami prenatali non si cumulano con le assenze per malattia comune.

RIFERIMENTI NORMATIVI:
Testo Unico n. 151/2001, art. 14
Decreto Legge n. 645/1996, art. 7
Circolare INAIL n. 51/2001, Allegato, punto 2
Circolare INAIL n. 81/1999, punto 5.6
Circolare INAIL n. 66/1997
Contratto integrativo aziendale
 
SICUREZZA E SALUTE SUL LUOGO DI LAVORO
Una gravidanza priva di complicazioni è del tutto compatibile con il normale svolgimento del lavoro. In alcuni casi, però, l'attività lavorativa o l'ambiente in cui questa si svolge possono comportare un rischio per la salute della lavoratrice gestante e/o del nascituro.
Per tale motivo la legge stabilisce che i pericoli dell'ambiente di lavoro siano identificati, controllati e prevenuti con una protezione maggiore rappresentata da:

  • un'anticipazione del congedo obbligatorio ai tre mesi prima del parto per le lavoratrici occupate in lavori pregiudizievoli e gravosi in relazione allo stato avanzato di gravidanza;
  • il divieto di adibire la donna durante la gravidanza e per sette mesi dopo il parto a "lavori pericolosi, faticosi ed insalubri" provvedendo allo spostamento ad altre mansioni o concedendo l'astensione anticipata qualora ciò non fosse possibile

Inoltre, le gestanti e le madri che allattano non possono svolgere attività in zone che comportano esposizione a radiazioni ionizzanti.
Il datore di lavoro, avvalendosi della collaborazione del Medico Competente, valuta il rischio per la salute della gestante, informa dei rischi presenti la lavoratrice ed i rappresentanti per la sicurezza, prevede interventi di protezione e prevenzione.Tra questi ultimi, è compreso lo spostamento ad una mansione non a rischio; qualora ciò non fosse possibile, il datore di lavoro deve darne motivata comunicazione alla Direzione Proviciale del Lavoro, in modo da consentire alla lavoratrice di usufruire dell'astensione anticipata dal lavoro.
Il datore di lavoro deve garantire inoltre la possibilità per le gestanti e le madri che allattano di riposarsi in posizione distesa e in condizioni appropriate. Concede anche permessi retribuiti per l'effettuazione di esami prenatali.

Cosa fare
Per usufruire delle particolari forme di tutela previste dalla norma, le lavoratrici addette ad attività considerate pericolose devono:

  • presentare al Responsabile dell'Unità di appartenenza il certificato medico di gravidanza con l'indicazione della data presunta del parto o, in alternativa, un'autocertificazione che dovrà comunque essere integrata entro cinque giorni da certificato medico;
  • notificare il proprio stato di gestazione, non appena accertato, in caso di lavorazioni che comportano l'esposizione alle radiazioni ionizzanti.

Riflessi sul rapporto di lavoro
L'adibizione delle lavoratrici gestanti ad attività diverse da quelle abitualmente svolte non produce alcun effetto sul rapporto di lavoro.

Riflessi economici
L'adibizione delle lavoratrici gestanti ad attività diverse da quelle abitualmente svolte non incide in alcun modo sulla retribuzione.

RIFERIMENTI NORMATIVI
Testo Unico n. 151/2001, artt. 6, 7, 8, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17
Decreto legislativo n. 645/1996, artt. 4 e 5
Decreto legislativo n. 626/1994, art. 33, 10° comma
D.P.R. n. 43/1990, art. 7, 1° comma
D.P.R. n. 1026/1976, art. 5
Circolare INAIL n. 58/2000, punto 1.1
Circolare INAIL n. 48/1993, punto 7.1.6, lettera e
Contratto integrativo aziendale

ANTICIPAZIONE DEL CONGEDO DI MATERNITÀ
Normalmente la lavoratrice gestante continua la sua attività fino al settimo mese di gravidanza.
In alcuni casi espressamente previsti dalla legge, però, la Direzione Provinciale del Lavoro, sia di propria iniziativa, sia su istanza della lavoratrice, può disporre l'astensione anticipata dal lavoro, previ accertamenti sanitari.
Le lavoratrici gestanti hanno diritto a questa forma di tutela in presenza di:

  • gravi complicazioni della gestazione o preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
  • condizioni di lavoro ed ambientali ritenute pregiudizievoli per la salute della donna o del bambino, quando non sia possibile adibire la lavoratrice ad altre mansioni.

Cosa fare
Per usufruire del diritto al congedo di maternità anticipato le lavoratrici devono presentare:

  • specifica domanda alla Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio, allegando il certificato medico di gravidanza attestante le condizioni previste dall'art. 17, comma 2, lettera a) del Testo Unico n. 151/2001; se la Direzione Provinciale del Lavoro non emette il provvedimento entro sette giorni, la richiesta si intende accolta;
  • al Responsabile dell'Unità di appartenenza, la ricevuta della domanda inoltrata alla Direzione Provinciale del Lavoro.

Riflessi sul rapporto di lavoro
Il congedo di maternità anticipato è calcolato a tutti gli effetti ai fini dell'anzianità di servizio e delle ferie ed è considerato attività lavorativa ai fini della progressione di carriera, quando i contratti collettivi non richiedono a tale scopo particolari requisiti.

Riflessi economici
Per tutto il periodo del congedo di maternità anticipato, le lavoratrici hanno diritto all'intera retribuzione, comprese le quote di salario accessorio fisse e ricorrenti relative alla professionalità e produttività nonché alla tredicesima mensilità. Sono esclusi, naturalmente, tutti gli emolumenti la cui corresponsione, ai sensi delle vigenti disposizioni interne, è sempre strettamente connessa all'effettiva presenza in servizio (ad esempio straordinari e turni).
Tale disposizione si applica anche qualora la dipendente sia assente dal lavoro, senza diritto, in tutto o in parte, a retribuzione (ad esempio, come ipotesi più frequente, in aspettativa non retribuita).

RIFERIMENTI NORMATIVI :
Testo Unico n. 151/2001, artt. 17, 22
D.P.R. n. 43/1990, art. 7, 1° comma
Circolare INAIL n. 48/1993, punto 7.1.6, lettera a.


MALATTIA PER GRAVIDANZA
Può accadere che durante il periodo di gestazione la lavoratrice debba assentarsi dal lavoro per patologie direttamente conseguenti al suo stato particolare, che non rientrano nei casi per i quali è prevista l'astensione obbligatoria anticipata disposta dalla Direzione Provinciale del Lavoro.

Cosa fare
In questo caso le lavoratrici devono presentare:

  • certificato del medico curante che contenga esplicito riferimento alla patologia conseguente allo stato di gravidanza.

Riflessi sul rapporto di lavoro
Le assenze per infermità determinate dallo stato di gravidanza non sono computate ai fini del raggiungimento del periodo massimo previsto dalla normativa contrattuale per la conservazione del posto di lavoro.

Riflessi economici
Alle lavoratrici affette da patologie connesse alla gravidanza viene corrisposta la retribuzione normale, con esclusione delle voci del salario accessorio di cui al contratto integrativo aziendale.

RIFERIMENTI NORMATIVI
Testo Unico n. 151/2001, art. 87
D.P.R. n. 1026/1976, art. 20
Circolare INAIL n. 51/2001, allegato, punto 2°
Circolare INAIL n. 45/1995, punto 2°
CCNL del 6/7/1995, art. 21, 7° comma
Contratto integrativo aziendale

INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA
In caso di interruzione di gravidanza spontanea o terapeutica che si verifichi prima del 180° giorno dall'inizio della gestazione, l'evento viene considerato aborto e pertanto non viene riconosciuto il diritto all'astensione obbligatoria.
Per accertare se l'interruzione di gravidanza sia avvenuta prima o dopo il 180° giorno, si presume che il concepimento sia avvenuto 300 giorni prima della data presunta del parto, indicata nel certificato medico di gravidanza.

Cosa fare
Le lavoratrici devono presentare al Responsabile dell'Unità di appartenenza, entro quindici giorni dall'aborto:

  • certificato medico attestante sia il mese di gravidanza durante il quale è avvenuto l'aborto, sia la data presunta del parto

Riflessi sul rapporto di lavoro
Le assenze per interruzione di gravidanza avvenuta entro il 180° giorno dall'inizio della gestazione, non si cumulano con precedenti o successivi periodi di malattia.
Non sono quindi computate nel periodo massimo previsto dalla normativa contrattuale per la conservazione del posto. Nel caso di interruzione di gravidanza avvenuta dopo il 180° giorno dall'inizio della gestazione, decorsi i tre mesi di assenza obbligatoria dal lavoro, se le condizioni di salute della lavoratrice non le consentono di riprendere servizio, l'assenza sarà considerata come dovuta a malattia derivante dallo stato di gravidanza.
Anche queste assenze non sono computate nel periodo massimo previsto dalla normativa contrattuale per la conservazione del posto.

Riflessi economici
Le lavoratrici hanno diritto all'intera retribuzione, con esclusione delle voci relative al salario accessorio di cui al contratto integrativo aziendale.

RIFERIMENTI NORMATIVI
Testo Unico n. 151/2001, art. 19
D.P.R. n. 1026/1976, art. 12
Circolare INAIL n. 48/1993, punto 7.1.6, lettera b
Circolare INAIL n. 51/2001, allegato, punto 2°
Contratto integrativo aziendale





 

 


 

Condividi post
Repost0
2 luglio 2009 4 02 /07 /luglio /2009 10:22

Clandestini: obbligo di motivazione delle espulsioni  (Avv. Mario Pavone)

Fonte: http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=2089, riportiamo:

 

Il Decreto Sicurezza,oggetto di conversione in Parlamento,introduce importanti modifiche alla attuale disciplina del TU dell'Immigrazione.

Nel testo vengono introdotti il reato di immigrazione clandestina, il divieto di matrimonio per gli irregolari, il trattenimento fino a sei mesi nei centri di identificazione ed espulsione, il permesso a punti e il test di italiano per chi chiede la carta di soggiorno
Le novità più rilevanti contenute nel  DDL sono le seguenti:
Matrimoni e cittadinanza italiana:
- La cittadinanza italiana si può ottenere per matrimonio e potrà essere richiesta, dopo due anni di residenza nel territorio dello Stato (dopo il matrimonio) o dopo tre anni nel caso in cui il coniuge si trovi all'estero;
-Tempi dimezzati in presenza di figli nati o adottati dalla coppia;
- Verrà introdotto un contributo di 200 euro sulle richieste di cittadinanza;
-Matrimonio degli irregolari

Niente più matrimoni tra irregolari, infatti, la modifica al Codice Civile prevede l'introduzione dell'obbligo di esibire il permesso di soggiorno per chi vuole contrarre matrimonio.
-Ingresso e soggiorno irregolare
Con l'introduzione del reato di ingresso e soggiorno irregolare (non punito con il carcere), è' prevista un'ammenda da 5.000 a 10.000 euro, con la possibilità di rimpatrio senza il rilascio del nulla osta da parte dell'autorità competente.
-Favoreggiamento ingresso irregolare
Vengono Inasprite tutte le norme legate al favoreggiamento dell'ingresso irregolare, ma non le sanzioni per quanto concerne gli sfruttatori.
-Iscrizione anagrafica:
Sarà richiesta per l'iscrizione o la variazione della residenza anagrafica, e la verifica da parte del Comune dell'idoneità dell'immobile in cui abitano.
-Ricongiungimenti familiari

Per i ricongiungimenti familiari l'idoneità alloggiativa sarà rilasciata esclusivamente dal Comune.
-Esibizione del permesso di soggiorno:
Sarà obbligatorio l'esibizione del permesso di soggiorno per tutti gli atti di stato civile, (registrazioni di nascita o i riconoscimenti di figli naturali)
-Centri di identificazione ed espulsione:
Viene previsto il prolungamento nei Cie fino 180 giorni
-Divieto di espulsione e respingimento:
Cade il divieto di espulsione per i conviventi con parenti italiani di terzo e quarto grado.
-Visto d'ingresso per ricongiungimento familiare:
Dopo 180 giorni dal perfezionamento dalla pratica non sarà più possibile richiedere il visto d'ingresso.
-Permesso UE di lungo periodo:
Per l'ottenimento della carta di soggiorno è previsto il superamento di un test di lingua italiana.
-Reati ostativi all'ingresso:
Dovranno essere prese in considerazione anche le condanne non definitive.
-Trasferimento di denaro:
Gli sportelli di money transfer avranno l'obbligo di fotocopiare il permesso di soggiorno degli stranieri e di conservarne copia per dieci anni e segnalare alle autorità quelli che ne sono privi.
-Contributo per rilascio permesso di soggiorno:
Si dovrà versare un contributo da 80 a 200 euro, per tutte le pratiche relative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno.
-Cancellazione anagrafica:
Dopo sei mesi dalla data di scadenza del permesso di soggiorno è prevista la cancellazione anagrafica.
-Registro per i senza fissa dimora:
A cura del Ministero dell'Interno verrà gestito un registro per la schedatura dei cosiddetti clochard.
-Permesso di soggiorno a punti:
Obbligo per i cittadini stranieri a sottoscrivere un accordo di integrazione con un punteggio che crescerà o diminuirà in base al loro comportamento. I criteri e le modalità verranno stabiliti da un apposito regolamento. Chi esaurisce i punti, perderà il permesso e sarà espulso

Sin qui il controverso provvedimento che ha suscitato le preoccupazioni delle Organizzazioni Umanitarie e delle Associazioni che svolgono attività di volontariato in favore dell'immigrazione e che vedono in forse la propria attività sin qui svolta in nome dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali di ogni individuo.

In questo quadro e sulla posizione degli immigrati clandestini in Italia è intervenuta la Corte di Cassazione, con la pregevole sentenza n 394/2009 della I Sez Penale,facendo chiarezza sulla vexata quaestio dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti espulsivi.

Secondo la Suprema Corte non sono legittime le espulsioni immotivate, soprattutto quando il clandestino è in gravi difficoltà economiche. In tal caso non può essere allontanato senza accompagnamento alla frontiera, da parte delle autorità, con un provvedimento del questore non motivato.

La Corte ha respinto il ricorso presentato dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Venezia contro l'assoluzione pronunciata dal Tribunale della stessa città nei confronti di un immigrato clandestino che si era trattenuto sul territorio italiano e per questo era stato processato ed espulso.

Il Questore di Parma aveva infatti intimato all'imputato di allontanarsi entro cinque giorni dal territorio nazionale, ma il Tribunale aveva dichiarato illegittimo il provvedimento in quanto carente di motivazione quanto alla impossibilità di trattenere il soggetto presso un centro di permanenza.

Il procuratore generale,nel suo ricorso,aveva,invece,sostenuto come in tali casi sia sufficiente una motivazione succinta, allegando gli elementi in base ai quali l'autorità di polizia decida di procedere all'espulsione mediante "intimazione" (tale forma di espulsione, che prevede che lo straniero debba raggiungere la frontiera con i propri mezzi, si distingue da quella per accompagnamento diretto alla frontiera).

Pertanto,secondo il procuratore ricorrente,lo straniero non poteva dolersi delle modalità scelte, certamente meno gravose, ed, inoltre, il provvedimento del questore, costituendo una semplice attuazione del provvedimento del prefetto,non necessitava di "attente motivazioni".

La Cassazione non ha accolto il ricorso e, nel motivare la sentenza ha affermato che l'obbligo di motivazione non può essere soddisfatto attraverso il "mero richiamo al provvedimento prefettizio di espulsione", in quanto diversi sono i presupposti dell'uno e dell'altro provvedi mento e diverso ne è l'oggetto.

Il provvedimento del questore,invero,dovrebbe indicare una scelta tra diverse opzioni (espul sione coattiva immediata; espulsione coattiva previo trattenimento; intimazione) specifica mente previste e tassativamente individuate quanto a ragioni giustificatrici, rimesse a valutario ni discrezionali tecniche che danno luogo a situazioni assolutamente diverse, nessuna delle quali è priva di conseguenze giuridicamente rilevanti per l'espulso.

La Suprema Corte ha ricordato inoltre come "la normale situazione di disagio di cui versa il migrante economico, in genere, e lo straniero privo del permesso di soggiorno, in particolare, non consente davvero di presumere che l'ordine di allontanarsi con i propri mezzi entro cinque giorni pena la commissione di un delitto per il quale è minacciata (oggi) una pena minima di un anno di reclusione, sia per lui evenienza «favorevole»", enunciando il principio di diritto secondo il quale la motivazione che assiste il provvedimento di intimazione a lasciare il territorio nazionale può essere anche particolarmente stringata e meramente enunciativa, in quanto l'impossibilità di trattenere lo straniero presto un centro di permanenza temporaneo è conseguenza di fatti aventi carattere obiettivo che non necessitano di una particolare o diffusa illustrazione, ma è sicuramente necessario, al fine di assicurare il controllo di legalità, che questi fatti vengano indicati, non bastando invece che il decreto si limiti a riprodurre letteralmente la formula della legge.

A conforto della tesi della Corte,va evidenziato come i provvedimenti espulsivi che si impugna no nelle aule di giustizia non tengano in alcun conto le circostanze di fatto e di diritto addotte dal ricorrente a propria discolpa,né enunciano con esattezza le circostanze di tempo e di luogo in cui avviene l'accertamento delle violazioni di legge poste a carico dei ricorrenti.

Di norma,gli atti espulsivi che si impugnano non consentono alcuna ricostruzione delle operazioni svolte dai verbalizzanti e comunque,non contengono nessuna indicazione in ordine alle deduzioni dei ricorrenti, mentre inducono a ritenere che tali provvedimenti facciano riferimento unicamente all'informativa degli operatori di Polizia, rivolti,in maniera del tutto generica e non documentata,ai  Prefetti solo per la emanazione dei lapidari quanto immotivati provvedimenti di espulsione.

Pertanto,i generici riferimenti e le considerazioni poste abitualmente a base dei provvedimenti impugnati, spesso non trovano alcun riscontro negli atti e nei fatti realmente accaduti, non documentati a sufficienza dai verbalizzanti  e comunque mai esaminati dal Prefetto ai fini di una corretta valutazione per la emanazione del provvedimento di espulsione in maniera rapida quanto illegittima.

La stessa giurisprudenza, intervenuta sul punto,è da tempo consolidata nell'enunciare che:"la contestazione immediata della violazione delle norme vigenti ha un rilievo essenziale per la correttezza del procedimento sanzionatorio e svolge funzione strumentale alla piena esplicazione del diritto di difesa del trasgressore, anche perché questi potrà richiedere l'inserimento nel verbale delle proprie dichiarazioni poiché la contestazione immediata rappresenta un momento essenziale atto a consentire una immediata difesa da parte del presunto trasgressore, il quale  può esercitare tale diritto rilasciando o meno dichiarazioni a discolpa.

Si sottolinea, in particolare,come il mancato esercizio di tale diritto,laddove non specificatamente motivato,costituisce,di per sé,una compressione del diritto di difesa".(v. Trib. Di Novara, sent. n. 521 del 19.09.2000).

La stessa Cassazione ha ripetutamente stabilito che il parametro per valutare l'incidenza del vizio determinatosi è proprio la sussistenza o meno di un pregiudizio per il diritto di difesa  dell'incolpato (cfr. Cass. 17 settembre 1992; Cass. 27 marzo 1996 n. 2767).

In varie  fattispecie esaminate dai GdP,la semplice mancata traduzione degli atti nella lingua  del ricorrente e la mancata indicazione delle ragioni ostative a tale traduzione sono tali da giustificare la  lesione del diritto del ricorrente di avere piena conoscenza dei provvedimenti a suo carico.

Inoltre,l'eventuale omissione della contestazione costituisce violazione di legge che rende illegittimi i successivi atti del procedimento amministrativo.

Con circolare n.81 prot. M/2413-12 del 02/08/2000 ad oggetto "Conte stazione a - Sent Corte di Cass n.4010 dell'1.2.2000", diretta in primis AI PREFETTI DELLA REPUBBLICA, l' Ufficio Studi per l'Amministrazione Generale e per gli Affari Legislativi del Ministero dell'Interno afferma che:"Nel caso in cui una motivazione sia carente in ordine alla conte stazione e  formi oggetto di ricorso  si ritiene che codesti Uffici debbano acquisire presso l'organo di Polizia elementi valutativi sulle circostanze di fatto nel caso detti elementi siano idonei a comprovare la condotta del verbalizzato."

Se le Prefetture svolgessero una adeguata istruttoria, evitando di liquidare la pratica nell'arco temporale di pochi minuti, perverrebbero a diversa conclusione in ordine alla posizione dei ricorrenti.

Va sottolineato,inoltre,come sovente nella  motivazione del provvedimento espulsivo manchi ogni riferimento ovvero disamina (e rigetto) delle giustificazioni addotte dai ricorrenti,con la conseguenza che spesso i  Prefetti pervengono alla decisione di espellere i clandestini in totale carenza di istruttoria del provvedimento emanato.

Tanto appare in aperto contrasto con quanto,per contro,sancito dalla Suprema Corte in relazione all'obbligo di riportare le dichiarazioni rese in presenza di contestazione di infrazione amministrativa (Cfr. Corte di Cassazione, Sez. III Civile - Sentenza 3 aprile 2000 n.4010).

In particolare il più delle volte non vi è traccia delle ragioni addotte dai ricorrenti in relazione all'ingresso e alla permanenza in Italia, alla durata della permanenza e quanto altro mediante l'indicazione delle circostanze di fatto effettivamente impeditive dell'adempimento della norma che si presume violata (v. Sentenza n.4010/2000 cit.).

In ogni caso, spesso risulta violato il principio generale vigente in tema di procedimento amministrativo, in base al quale i provvedimenti che incidono sfavorevolmente sulla posizione giuridica di un soggetto abbisognano di una motivazione particolarmente congrua e rigorosa che consenta l'immediato riscontro e/o verifica della legittimità dell'operato della P.A.

Da ultimo va ricordato che la giurisprudenza più autorevole ha  ritenuto che l'autorità emanan te i provvedimenti di espulsione dello straniero deve sempre valutare ed esternare le ragioni di ordine pubblico che consigliano l'allontanamento dello straniero (cfr. Cons Stato sez. IV, sent. n. 356 del 25/3/1993).  

Va pure sottolineato come il più delle volte anche il decreto di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato venga  emesso sulla base del fatto che "il richie dente ha presentato istanza di rinnovo del citato titolo di soggiorno con oltre sessanta giorni di ritardo".

Tale  contestazione, contenuta nel decreto espulsivo,può facilmente essere confutata alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali che oramai affermano, pacificamente, il carattere non perentorio dei termini previsti dalla legge per la presentazione della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno (quindi oltre i sessanta giorni successivi alla scadenza)(v. ex multis Cass.Sez.Uni. sent. 7892/2003) anche a conferma, peraltro, di un identico orientamento che era stato espresso anni fa dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 870 del 1999.

Tali previsioni, da ritenersi di stretta interpretazione per la loro incidenza negativa sul diritto di soggiorno, non consentono che il rinnovo del permesso possa essere rifiutato per la semplice tardiva proposizione della domanda in mancanza di una espressa sanzione di irricevibilità della domanda presentata fuori del termine, sicché il ritardo non rileva quando, pur dopo il decorso del termine di tolleranza, non siano venute meno le condizioni di legge per il soggiorno dello straniero il quale, ove ciò si verifichi, non ha alcun interesse a ritardare la presentazione della domanda di rinnovo.

Diverso è, invece, il caso in cui lo straniero,essendo incorso in una delle situazioni che precludono il rinnovo del permesso di soggiorno, si trattenga illecitamente sul territorio nazionale e presenti la domanda di rinnovo solo quando sia venuto nuovamente a trovarsi nelle condizioni richieste dalla legge, come si verifica, ad esempio,nel caso di perdita del posto di lavoro subordinato non stagionale e infruttuosa iscrizione nelle liste di collocamento per tutta la residua durata di validità del permesso di soggiorno e, comunque, per un periodo non inferiore a  sei mesi ai sensi dell'art. 22, co. 11, del D.Lgs. n. 286 del 1998 (come sostituito dall'art. 18 della legge 30 luglio 2002, n. 189).

In tal caso, infatti, il ritardo nella presentazione spontanea della domanda di rinnovo fino al ripristino delle condizioni di legge per il soggiorno dell'interessato potrà essere valutato agli effetti del diniego del rinnovo del permesso, sanzionandosi non già la mera inerzia dell'interessato,bensì il ritardo nella presentazione di una domanda di rinnovo che, tempestivamente presentata,non avrebbe trovato accoglimento.

Pertanto, non potendo darsi prevalenza ad una interpretazione che subordini il riconoscimento del diritto al rinnovo del permesso di soggiorno alla mera osservanza dei termini stabiliti dalla legge per la sua presentazione,deve essere ribadita la interpretazione già sancita dalla giurisprudenza della Suprema Corte a sezione semplice, secondo cui la spontanea ma tardiva presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine di sessanta giorni dalla sua scadenza, oltre a non consentire l'espulsione "automatica" della posizione straniero, potrà costituirne solo indice rivelatore nel quadro di una valutazione complessiva della situazione in cui versa l'interessato.

Anche le decisioni del TAR affermano che il ritardo nella presentazione della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno non determina automaticamente né il diniego di rinnovo né la espulsione, dovendosi procedere ad una attenta disamina dell'istanza stessa per accertare se siano venuti meno i presupposti, originariamente esistenti, per il rinnovo del permesso e della cui mancanza il ritardo può solo costituire indice rilevatore.

"La presentazione intempestiva della domanda di rinnovo non esime la competente Amministra zione dalla valutazione circa l'immeritevolezza dello straniero a permanere sul territorio nazionale, con il vaglio di tutti i requisiti necessari, quali le condizioni di vita e lavorative, signi ficative di un radicamento del medesimo nel territorio " (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, 25 maggio 2000, n. 866; T.A.R. Piemonte, sez. II, 25 maggio 2000, n.736).

Recentemente, anche  il Consiglio di Stato ha ribadito come "il termine per la presentazione dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, dei cittadini extracomunitari, non è perentorio e dalla sua violazione non discende automaticamente l'espulsione dell'interessato" (sent. n. 8063 del 14.12.2004, IV sez.).

Secondo la Dottrina prevalente,non può e non deve essere accolta una concezione prettamente "formalistica" del permesso di soggiorno, secondo la quale gli aspetti "formali" (quali, per l'appunto, il mancato rispetto dei termini) finiscono per prevalere costantemente su quelli "sostanziali" (le condizioni di vita e lavorative, il radicamento nel territorio, ecc.) e le relative irregolarità amministrative, anziché essere considerate "sanabili" a fronte di una condizione di sostanziale regolarità del soggiorno, costituiscono un ostacolo irreparabile al proseguimento del percorso di integrazione. Una impostazione di tal tipo non può che condurre a brusche interruzioni del percorso di integrazione e  alla continua e ciclica riproduzione delle condizioni di irregolarità nei confronti di quanti non riescono a rinnovare il permesso già conseguito.

Di segno completamente opposto rispetto a tale concezione, che ancora influenza la prassi delle questure, è la citata giurisprudenza,nella quale si coglie soprattutto un elemento di grande importanza: gli aspetti di "regolarità sostanziale" del soggiorno dello straniero in Italia devono prevalere su quelli di "irregolarità formale", laddove ovviamente l'interpretazione "costituzionalmente orientata" delle leggi lo consenta.

In questo senso, gli ostacoli frapposti al mantenimento della condizione di regolare soggiorno da un'interpretazione troppo rigorosa e formalista della legge sono considerati "manifestamente irragionevoli" (Cons. Stato, sentenza n. 870/99), nella misura in cui, anziché perseguire lo scopo di garantire un efficiente controllo dei flussi migratori, finiscono per avere l'effetto opposto, ovvero per costringere all'ingresso in clandestinità soggetti cui vengono addebitate soltanto mere irregolarità formali.

Il Consiglio di Stato afferma che "la mancata richiesta del permesso di soggiorno ovvero il mancato rinnovo del permesso già concesso, non legittimano sempre ed in ogni caso di per sé l'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale, dovendo l'Autorità di pubblica sicurezza valutare, specie in presenza di particolari situazioni, le ragioni di ordine pubblico che consigliano l'eventuale allontanamento dello straniero". Infatti, "Anche se allo straniero - diversamente dal cittadino - non è riconosciuta una posizione di libertà in ordine all'ingresso e alla permanenza nel territorio italiano per la mancanza di un legame ontologico con la comunità nazionale (...), la discrezionalità, sia pure ampia, dell'amministrazione è limitata dalla non manifesta irragionevolezza delle sue scelte".

L'interesse pubblico attinente alla sicurezza dell'ordinato vivere civile, che giustifica le limitazioni alla libertà di ingresso e soggiorno nello Stato nei confronti degli stranieri, "non può ritenersi compromesso dal solo comportamento omissivo di oneri che la legge richiede; allorché, per altri versi, la condotta dello straniero sia improntata ad una vita normale e dignitosa, irrinunciabile per ogni individuo".

Merita di essere ricordata l'importante affermazione che si apre il documento varato, di recente,dal Consiglio d'Europa sui temi dell'immigrazione ed asilo.

"Le migrazioni internazionali sono una realtà che persisterà in particolare finché resteranno i divari di ricchezza e di sviluppo tra le diverse regioni del mondo.

Possono rappresentare un'opportunità poiché sono un fattore di scambi umani ed economici e consentono inoltre alle persone di concretare le loro aspirazioni.

Possono contribuire in modo decisivo alla crescita economica dell'Unione europea e degli Stati membri che hanno bisogno di migranti a motivo della situazione del loro mercato del lavoro o della loro situazione demografica.

Infine, apportano risorse ai migranti e ai loro paesi d'origine, contribuendo in tal modo al loro sviluppo".

In base al contenuto del Patto europeo sull'immigrazione ed asilo politico,approvato dal Consiglio d'Eurpa,l'Unione Europea ha introdotto alcune norme comuni circa l'allontanamento ed il rimpatrio degli stranieri irregolari,contenute nella Direttiva del Parlamento e del Consiglio 2008/115/CE,pubblicata il 24 dicembre 2008 sulla Gazzetta Ufficiale della Unione Europea a cui tutti i Paesi comunitari dovranno uniformarsi entro il 24 dicembre 2010.

Le linee guida richiamano i diritti tutelati dalla Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e le libertà fondamentali,contenute in cinque capitoli

  • Voluntary return,
  • The removal order
  • Detention pending removal
  • Readmission
  • Forced removals

riguardanti i vari aspetti del rimpatrio forzato.

Un capitolo specifico venne dedicato alla detenzione in attesa dell'allontanamento in cui sono indicate,tra l'altro,le circostanze in cui la detenzione può essere ordinata e le condizioni minime di detenzione.

E' stato sottolineato che lo stato ospite dovrebbe prendere misure di promozione del ritorno volontario più che coattivo; l'ordine di allontanamento dovrebbe essere perseguito solo in accordo con le leggi nazionali e non dovrebbe essere applicato se presente il rischio di violenze, torture o trattamenti inumani e degradanti nel paese di ritorno sia da parte del governo sia da parte di "non-state actors".

Al fine di verificare l' assoluta assenza di pericolo nel paese di ritorno, dovrebbero essere valutate e prese in considerazione le informazioni provenienti da tutte le fonti, governative e non, e dall'UNHCR, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Non dovrebbe inoltre essere portato a termine un'ordinanza di rimpatrio se lo stato in cui il migrante deve far ritorno rifiuti il rientro del migrante stesso.

In ogni caso è proibita l'espulsione collettiva e la mancata adempienza dell'analisi individuale dei diversi casi.

Merita attenzione,in particolare,il terzo capitolo riguardante le modalità di detenzione dopo l'ordine di rimpatrio.

  • La persona detenuta dovrebbe, innanzitutto, essere informata in una lingua che conosce e dovrebbe avere la possibilità di contattare giudici e avvocati.
  • La detenzione dovrebbe essere più breve possibile e rispettosa dei diritti umani.
  • Il personale presente all'interno dei luoghi detenzione dovrebbe essere altamente qualificato e in grado di affrontare la situazione specifica.
  • Le persone trattenute, inoltre, dovrebbero ricevere degna assistenza medica e ascolto psicologico e non dovrebbero essere detenute insieme a ordinary prisoners;
  • dovrebbero avere libero accesso ad avvocati, ONG e familiari.

I centri di detenzione dovrebbero essere costantemente monitorati da enti esterni e l'accesso dovrebbe essere liberamente consentito a membri dell'UNHCR, del parlamento europeo e altri soggetti qualificati.

Il nuovo pacchetto di regole e procedure,introdotto con la Direttiva 115/2008,è,in conseguenza,basato sul pieno rispetto dei fondamentali diritti umani e della dignità dei clandestini ed appare pienamente coerente con le regole dettate nel non lontano 2005 che non possono essere ignorate da alcuno e tanto meno dal nostro Parlamento.

NOSTRO COMMENTO: Riteniamo di fare cosa gradita ai navigatori, pubblicando,  l'interessante articolo del collega, Avv. Mario Pavone, tratto dal sito OVERLEX, portale giuridico, esplicativo della disciplina del  TU sull'Immigrazione.

Condividi post
Repost0
2 luglio 2009 4 02 /07 /luglio /2009 10:18

Brevi note in tema di tutela di diritti della personalità (FOTO e VIDEO IN RETE)

A cura di Avv. Fernando Cannizzaro


 Da più parti mi si chiede di trattare  questo argomento divenuto, specie tra i ragazzi, quanto mai ricorrente. Accontentiamo, come è nostro costume, i  navigatori della rete. Accade spesso nella realtà quotidiana, in particolar  modo tra i giovani fidanzatini che, conclusasi in modo piuttosto burrascoso la vicenda  sentimentale , uno dei due, per mero spirito di rancore o di vendetta, oppure perché tradito, pubblichi su di un sito alcune foto o video che si è procurato all'insaputa del partner  e decide, motu proprio,  di darne pubblicazione in rete. Mi si chiede: 1) se la parte lesa da questo comportamento può agire in giudizio nei confronti dell'altra; 2) quali diritti sono stati violati. 3) se si ha diritto al risarcimento del danno.

Diciamo subito che nel caso di specie si verte in tema di diritti della personalità, nello specifico: diritto all'immagine ed alla riservatezza il cui fondamento si trova nell'art. 2 della Carta Costituzionale. Questa norma, infatti, tutela i diritti fondamentali dell'individuo intesi sia come sviluppo della propria personalità sia all'interno della società nel suo complesso.

Tale articolo testualmente recita:" La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale."

Ulteriore corollario a tale articolo si trova nell'art. 10 del Codice civile. che così statuisce:"ABUSO DELL'IMMAGINE ALTRUI. Qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni."

Andiamo a vedere cosa significa. L'immagine: è la sembianza o l'aspetto fisico di un soggetto ma anche il suo modo d'essere come si percepisce esteriormente. L'immagine è tutelata al pari del nome, in quanto segno distintivo essenziale di ciascun individuo. Si parla, pertanto, di un diritto all'immagine. L'immagine è un bene personale, la cui diffusione e pubblicazione devono essere preventivamente autorizzate e non possono comunque arrecare pregiudizio all'onore ed alla reputazione della persona ritratta.

Il decoro: è il sentimento della propria dignità. Esso costituisce un aspetto del cd. Diritto all'onore la cui tutela si desume dalla norma penale (ex art.594 c.p. che punisce l'ingiuria) e dalla legge sul diritto d'autore (art. 96-97 L.n. 633/1941) 

La reputazione: è la considerazione in cui ciascuno è tenuto dagli altri.

L'esposizione o la pubblicazione dell'immagine altrui, a norma dell'art. 10 cod. civ. e degli artt. 96 e 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d'autore, è abusiva non soltanto quando avvenga senza il consenso della persona o senza il concorso delle altre circostanze espressamente previste dalla legge come idonee a escludere la tutela del diritto alla riservatezza - quali la notorietà del soggetto ripreso, l'ufficio pubblico dallo stesso ricoperto, la necessità di perseguire finalità di giustizia o di polizia, oppure scopi scientifici, didattici o culturali, o il collegamento della riproduzione a fatti, avvenimenti, cerimonie d'interesse pubblico o svoltisi in pubblico - ma anche quando, pur ricorrendo quel consenso o quelle circostanze, l'esposizione o la pubblicazione sia tale da arrecare pregiudizio all'onore, alla reputazione o al decoro della persona medesima. Cass. civ., sez. I 29-09-2006, n. 21172

Torniamo al caso di specie. Una volta stabiliti quali siano stati i diritti violati e la loro tutela, passiamo al risarcimento del danno. Dal momento che Internet raggiunge qualsiasi parte del mondo rendendo visibili a tutti il contenuto delle immagini o, addirittura, di video, il risarcimento del danno dovrà essere proporzionato all'offesa ricevuta. In tal caso il danno risarcibile ex art. 2043 C.c. si identifica con l'evento lesivo (danno-evento) e si verificato in astratto allorchè il sito viene visitato (Cass. 8-5-2002 n.6591). Inoltre la liquidazione del danno non patrimoniale (ex art. 2059 C.C Il cd. Danno morale: risarcibile solo nei casi determinati dalla legge) dovrà tener conto delle condizioni sociali del danneggiato. In questa ottica risulta conducente l'orientamento della giurisprudenza di legittimità della Cassazione (Cass. 16-5-2008 n.12433) secondo cui "l'illecità pubblicazione dell'immagine altrui obbliga l'autore al risarcimento dei danni non patrimoniali in base sia all'art. 10 c.c. sia in virtù del D.Lgs 196/2003 (Privacy), ove il caso configuri anche violazione del diritto alla riservatezza.

Per finire aggiungiamo che la parte lesa oltre al diritto di ottenere il risarcimento dei danni patiti, potrà chiedere all'autorità giudiziaria l'emissione di un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per bloccare tempestivamente la diffusione delle immagini o video pubblicati sul sito.

Condividi post
Repost0
2 luglio 2009 4 02 /07 /luglio /2009 10:15

IL CONSENSO INFORMATO

 (di Avv. Fernando Cannizzaro)


Un Navigatore di internet mi ha mandato una e-mail pregandomi di trattare l'argomento del Consenso Informato a seguito di un caso giudiziario di cui Egli stesso è stato protagonista e si è visto costretto a citare in giudizio la Struttura sanitaria ed il medico per essere risarcito  dei danni patiti a seguito di un trattamento sanitario fatto in assenza di consenso informato. Il suo caso si è risolto positivamente con la condanna della Struttura sanitaria e del medico. Il Navigatore che - per motivi di privacy omettiamo le generalità - mi prega di approfondire questo argomento per dare la possibilità a chiunque di essere edotto su tale delicato argomento. La stessa richiesta mi è stata rivolta, numerose volte,  da mia figlia, che,  unitamente ad altri suoi colleghi medici, mi hanno da tempo sollecitato di occuparmi di questo argomento esponendolo su Internet.  Finalmente li  accontento!

Il concetto di Consenso Informato (che per brevità di esposizione chiameremo CI) non è disciplinato in modo compiuto nel Nostro ordinamento. Conseguentemente, in assenza, di un vuoto normativo occorre fare riferimento alla interpretazione per chiarire la formulazione.

La Nostra Costituzione  all'art. 2 tutela i diritti fondamentali della persona. All' art 13, trattando della inviolabilità della persona, legittima il potere della persona stessa,  di disporre del proprio corpo. L'art. 32  tutela la salute come diritto fondamentale del cittadino. Ancora: la legislazione speciale Legge 23-12-1978, n. 833, che istituisce il Servizio Sanitario nazionale; la Legge sull'interruzione volontaria della gravidanza (L.22-5-1978,n.194). Il Codice di deontologia medica del 2006 (art.35) che così recita:"il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l'acquisizione del consenso esplicito ed informato del paziente" La Cassazione, infine, con sentenza (Cass.civ. 14-3-2006,n.5444) ha precisato che"......l'obbligo del consenso informato.......è a carico del sanitario che, una volta richiesto dal paziente l'esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso, a nulla rilevando che la richiesta del paziente discenda da una prescrizione di altro sanitario"

La natura del CI s'inquadra nell'ambito di un contratto di prestazione d'opera tra il sanitario ed il paziente. Il sanitario ha il dovere di informare il paziente in modo chiaro, preciso e comprensibile su quanto intende fare e sulle probabili conseguenze derivanti da trattamento. Se non ottempera a questo dovere viola l'art. 1337 c.c. (buona fede nella formazione del contratto) .

Il CI deve essere reso dal paziente o da chi per Lui, in caso di incapacità, in vista di un intervento chirurgico o di altra terapia specialistica o accertamento diagnostico invasivo. Il CI non attiene solo ai rischi soggettivi dell'operatore ma riguarda anche  la Struttura sanitaria con riferimento alle dotazioni ed attrezzature. In tal modo il paziente ha tutto il tempo di regolarsi se sottoporsi o meno ad accertamenti o interventi.

La negazione del consenso impedisce qualsiasi intervento medico (salvo lo stato di necessità ex art. 54 C.P.) ed in presenza del consenso, eventuali lesioni non possono essere attribuite come volontarie al sanitario.

Ne consegue che nel caso di specie ben ha fatto il nostro "Navigatore" a citare in giudizio la Struttura sanitaria ed il medico per ottenere il risarcimento dei danni subiti. L'assenza del CI integra altresì il reato di lesioni colpose (Cfr. Cass. Penale, 11-07-2001 n.13066) determinando in tal modo la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. ai sensi del quale il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge. La ratio dell'art.2059 c.c. va ricercata nel suo collegamento con l'art.185 c.p., che ai tempi dell'entrata in vigore del codice civile era l'unica norma che potesse dare un senso alla disposizione in parola. In particolare, l'intento del legislatore era quello di sanzionare in modo particolare e accentuato l'illecito derivante da reato.

Per lungo tempo quindi la cultura giuridica italiana fu concorde nel limitare il risarcimento del danno non patrimoniale alle ipotesi di reato.

In seguito, sotto la spinta della dottrina, si giunse ad una svolta, con la famosa sentenza della Corte Costituzionale n.184/86 (detta sent. Dell'Andro), emessa in materia di danno biologico. In detta sentenza la Corte Costituzionale stabilì che il disposto dell'art.2059 c.c. dovesse essere limitato esclusivamente al danno morale, inteso come "transeunte turbamento" dell'animo derivante dall'illecito. Il danno biologico sarebbe quindi dovuto rientrare nell'alveo dell'art.2043 c.c. Questa soluzione, secondo il parere della Corte, non sarebbe ostacolata dal fatto che l'art.2043 c.c. nel quadro del titolo IX del libro IV, parrebbe riferirsi solo ai danni patrimoniali. Infatti tale disposizione si porrebbe come "norma secondaria" volta a sanzionare la violazione di norme primarie; cosicché, se la norma primaria tutela beni patrimoniali, il danno risarcibile sarà ovviamente patrimoniale; viceversa, alla violazione di una norma primaria tutelatrice di un bene non patrimoniale (come la salute ai sensi dell'art. 32 Cost.), conseguirà necessariamente il risarcimento di un danno non patrimoniale.

Tale orientamento è stato seguito dalla giurisprudenza per quasi vent'anni ed esattamente fino alla svolta della Corte di Cassazione avvenuta con due sentenze gemelle del 2003. La S.C. ha ritenuto di non poter più condividere l'orientamento appena esposto; probabilmente tale svolta è stata determinata dal fatto che l'art.2043 c.c., non ponendo alcun limite alla propria operatività, aveva portato all'allargamento indiscriminato delle ipotesi di risarcimento anche ai danni "bagatellari". (ossia i risarcimenti che certi giudici di pace hanno concesso a disappunti futili, insignificanti; la cassetta postale intasata, la squadra di calcio retrocessa, il film che comincia in ritardo, etc.). A tal fine la Cassazione invita d'ora in poi a riferirsi ad un'unica "categoria", quella del danno non patrimoniale, e a prospettare il danno biologico, esistenziale, morale, come mere "sotto-voci" di quest'ultimo, non già come categorie autonome. Le stesse cose dette in altro modo insomma; scompariranno così i bagatellari?

La S.C. ha quindi ricondotto nell'alveo dell'art.2059 c.c. tutte le fattispecie di danno non patrimoniale, con la precisazione che il limite ivi contenuto non opera in presenza di valori costituzionalmente protetti. Peraltro nella stessa sentenza la S.C., propone anche un secondo percorso argomentativo per giungere al medesimo risultato: il requisito della previsione legislativa di cui all'art.2059 c.c. sarebbe pienamente soddisfatto dalle norme costituzionali, in quanto esse, nel momento in cui danno rilevanza ad un bene giuridico, non possono non assicurare implicitamente allo stesso la tutela minima costituita dal risarcimento del danno.

Infine si riporta, per meglio chiarire il concetto di CI, quanto scritto in Wikipedia che,  per i non addetti ai lavori, risulta di più facile comprensibilità:

 "Il consenso deve essere scritto nei casi in cui l'esame clinico o la terapia medica possano comportare gravi conseguenze per la salute e l'incolumità della persona. Se il consenso è rifiutato, il medico ha l'obbligo di non eseguire o di interrompere l'esame clinico o la terapia in questione. Il consenso scritto è anche obbligatorio, per legge quando si dona o si riceve sangue, si partecipa alla sperimentazione di un farmaco o negli accertamenti di un'infezione da HIV.

Negli altri casi, soprattutto quando è consolidato il rapporto di fiducia tra il medico e l'ammalato, il consenso può essere solo verbale ma deve essere espresso direttamente al medico. In ogni caso, il consenso informato dato dal malato deve essere attuale, deve cioè riguardare una situazione presente e non una futura (per questo, la legge non riconosce la validità dei testamenti biologici).

Il consenso può essere revocato in ogni momento dal paziente e, quindi, gli operatori sanitari devono assicurarsi che rimanga presente per tutta la durata del trattamento: se la cura considerata prevede più fasi diverse e separabili, la persona malata deve dare il suo consenso per ogni singola parte di cura.

Le uniche eccezioni all'obbligo del consenso informato sono:

  • le situazioni nelle quali la persona malata ha espresso esplicitamente la volontà di non essere informata;
  • le condizioni della persona siano talmente gravi e pericolose per la sua vita da richiedere un immediato intervento di necessità e urgenza indispensabile. In questi casi si parla di consenso presunto;
  • i casi in cui si può parlare di consenso implicito, per esempio per quelle cure di routine, o per quei farmaci prescritti per una malattia nota. Si suppone, infatti, che in questo caso sia consolidata l'informazione ed il consenso relativo;
  • in caso di rischi che riguardano conseguenze atipiche, eccezionali ed imprevedibili di un intervento chirurgico che possono causare ansie e timori inutili. Se, però, il malato richiede direttamente questo tipo di informazioni, il medico deve fornirle;
  • i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO),
  • le vaccinazioni obbligatorie, sono stabilite nei programmi nazionali di salute pubblica.-"
Condividi post
Repost0
2 luglio 2009 4 02 /07 /luglio /2009 10:12

CLASS  ACTION: BREVI CHIARIMENTI

A cura di Avv. Fernando Cannizzaro.-


Alcuni amici di Internet mi hanno sollecitato, nei loro commenti,  di approfondire l'argomento delle "azioni collettive" o "Class action" . Dal  momento che lo scopo principale di questo sito è quello di accontentare i navigatori di Internet, siamo lieti  di farlo.

Premettiamo che tale istituto della "Class Action" è proprio degli USA : per Class Action , infatti, in tale Paese, s'intende un'azione legale posta in essere da uno o più persone membri di una stessa classe i quali chiedono che la soluzione di una questione comune avvenga, con effetto erga omnes,  per tutti i componenti  della classe di appartenenza. Un istituto del genere non vi è dubbio che realizza una sorta di economia processuale e certezza del diritto a tutti gli appartenenti  alla categoria. Negli USA , infatti, oltre a ciò, i membri della stessa classe possono esperire anche un' azione individuale e non avvantaggiarsi dell'azione collettiva. Se, a contrario, stabiliscono di avvantaggiarsi dell' azione collettiva non devono fare nulla.

Nel  nostro ordinamento la Legge Finanziaria 2008 ha previsto all'art. 2, comma 445, che le disposizioni di cui ai commi 446/449 istituiscano e disciplino l'azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori, inserendo nell'ambito del Codice di Consumo (D.Lgs.  6-9-2005, n.206) l'art. 140 bis che regola la nuova procedura. Tale articolo statuisce che i "consumatori o utenti  che intendono avvalersi della tutela devono comunicare per iscritto al proponente la  propria adesione all'azione collettiva.."

L'oggetto dell'azione collettiva risarcitoria è fissato dall'art. 140 bis del C.d C. per cui all' <<accertamento del diritto al risarcimento del danno ed alla restituzione delle somme spettanti  ai  singoli consumatori o utenti nell'ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell'art. 1342 del codice civile, ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali,  quando sono lesi i diritti di una pluralità  di consumatori o di utenti....>> abilitati ad agire sono le Associazioni ed i Comitati individuati dalla legge , ex art. 137, comma 1 del Codice di Commercio, inseriti nell'elenco del Ministero delle attività produttive nonché le Associazioni ed i comitati adeguatamente  rappresentativi degli interessi dei singoli appartenenti.

Per evitare che azioni pretestuose o di alcun interesse leso creino spreco di attività giudiziaria vengono  individuate  alcune condizioni di ammissibilità dell'azione per stabilire in anteprima l'utile esperimento dell'azione collettiva, e cioè: a) manifesta infondatezza della domanda; b) sussistenza di un conflitto d'interessi; c) la mancanza di un interesse collettivo ai sensi dell'art. 140 bis.

Come si conclude la procedura collettiva?

Si conclude con sorta di sentenza di accertamento che in caso di esito favorevole per la classe si limiterà ad accertare la posizione giuridica soggettiva lesa. Il Tribunale, infatti, è chiamato ad individuare i criteri di liquidazione della somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori o utenti, Il Giudice può anche determinare la somma minima spettante a ciascun consumatore.

Terminata questa fase collettiva inizierà quella individuale della determinazione del quantum, Entro 60 gg. L'impresa convenuta dovrà effettuare una propria proposta liquidatoria che se non  accettata dai singoli membri della Classe o se l'Impresa non fa alcuna proposta, si apre una ulteriore fase di Conciliazione in cui il Presidente del Tribunale competente costituisce una Camera di Conciliazione costituita da tre Avvocati di cui due indicati da ciascuna delle parti ed uno nominato dal Presidente del Tribunale per determinare le somme da corrispondere o da restituire ai consumatori o utenti che hanno preso parte all'azione collettiva o sono intervenuti. In alternativa, su concorde intesa delle parti, il Presidente dispone che la composizione non contenziosa avvenga dinanzi ad uno degli organismi di conciliazione di cui all'art, 38 D.Lgs. n.5/2003. Vedi sotto:

"DELLA CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE

Art. 38. ( note )

Organismi di conciliazione

1.      Gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire un tentativo di conciliazione delle controversie nelle materie di cui all'articolo 1 del presente decreto. Tali organismi debbono essere iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia.

2.     Il Ministro della giustizia determina i criteri e le modalità di iscrizione nel registro di cui al comma 1, con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Con lo stesso decreto sono disciplinate altresì la formazione dell'elenco e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti. Le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura che hanno costituito organismi di conciliazione ai sensi dell'articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, hanno diritto ad ottenere l'iscrizione di tali organismi nel registro.

3.     L'organismo di conciliazione, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e comunica successivamente le eventuali variazioni. Al regolamento debbono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione costituiti da enti privati, proposte per l'approvazione a norma dell'articolo 39. "

L'introduzione delle azioni collettive risarcitorie - prevista per il 29 giugno 200'8 - è stata prorogata con decreto legge al primo gennaio 2009.





 

Condividi post
Repost0
2 luglio 2009 4 02 /07 /luglio /2009 10:09

ANCORA SULLA NON TENUTEZZA DELLE SPESE LEGALI DA PARTE DELLE ASSICURAZIONI

a cura di Avv. F. Cannizzaro


Questo argomento è stato oggetto di parere legale e di pubblicazione su questo sito da parte del sottoscritto . A completamento dell'argomento da me trattato in prima battuta ritengo utile riportare e delineare il quadro normativo di riferimento per dare la possibilità  al danneggiato di avere dei riferimenti di legge sul punto. A tal uopo pubblichiamo il D.Lgs.  N.209/ 2005

Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n. 209

"Codice delle assicurazioni private"
CAPO III ° RISARCIMENTO DEL DANNO

Art. 137.
Danno patrimoniale

1. Nel caso di danno alla persona, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l'incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina, per il lavoro dipendente, sulla base del reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni e, per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto che risulta il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche negli ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti dalla legge, dall'apposita certificazione rilasciata dal datore di lavoro ai sensi delle norme di legge.

2. E' in ogni caso ammessa la prova contraria, ma, quando dalla stessa risulti che il reddito sia superiore di oltre un quinto rispetto a quello risultante dagli atti indicati nel comma 1, il giudice ne fa segnalazione al competente ufficio dell'Agenzia delle entrate.

3. In tutti gli altri casi il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale.

Art. 138.
Danno biologico per lesioni di non lieve entità

1. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle attività produttive, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica:

a) delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti;

b) del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso.

2. La tabella unica nazionale e' redatta secondo i seguenti principi e criteri:

a) agli effetti della tabella per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito;

b) la tabella dei valori economici si fonda sul sistema a punto variabile in funzione dell'età e del grado di invalidità;

c) il valore economico del punto e' funzione crescente della percentuale di invalidità e l'incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all'aumento percentuale assegnato ai postumi;

d) il valore economico del punto e' funzione decrescente dell'età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall'ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all'interesse legale;

e) il danno biologico temporaneo inferiore al cento per cento e' determinato in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.

3. Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, l'ammontare del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.

4. Gli importi stabiliti nella tabella unica nazionale sono aggiornati annualmente, con decreto del Ministro delle attività produttive, in misura corrispondente alla variazione dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertata dall'ISTAT.

Art. 139.
Danno biologico per lesioni di lieve entità

1. Il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, e' effettuato secondo i criteri e le misure seguenti:

a) a titolo di danno biologico permanente, e' liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al nove per cento un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità; tale importo e' calcolato in base all'applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente secondo la correlazione esposta nel comma 6. L'importo così determinato si riduce con il crescere dell'età del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento per ogni anno di età a partire dall'undicesimo anno di età. Il valore del primo punto e' pari ad euro seicentosettantaquattro virgola settantotto;

b) a titolo di danno biologico temporaneo, e' liquidato un importo di euro trentanove virgola trentasette per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.

2. Agli effetti di cui al comma 1 per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.

3. L'ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 1 può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.

4. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle attività produttive, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra uno e nove punti di invalidità.

5. Gli importi indicati nel comma 1 sono aggiornati annualmente con decreto del Ministro delle attività produttive, in misura corrispondente alla variazione dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertata dall'ISTAT.

6. Ai fini del calcolo dell'importo di cui al comma 1, lettera a), per un punto percentuale di invalidità pari a 1 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,0, per un punto percentuale di invalidità pari a 2 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,1, per un punto percentuale di invalidità pari a 3 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,2, per un punto percentuale di invalidità pari a 4 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,3, per un punto percentuale di invalidità pari a 5 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,5, per un punto percentuale di invalidità pari a 6 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,7, per un punto percentuale di invalidità pari a 7 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,9, per un punto percentuale di invalidità pari a 8 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 2,1, per un punto percentuale di invalidità pari a 9 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 2,3.

Art. 140.
Pluralità di danneggiati e supero del massimale

1. Qualora vi siano più persone danneggiate nello stesso sinistro e il risarcimento dovuto dal responsabile superi le somme assicurate, i diritti delle persone danneggiate nei confronti dell'impresa di assicurazione sono proporzionalmente ridotti fino alla concorrenza delle somme assicurate.

2. L'impresa di assicurazione che, decorsi trenta giorni dall'incidente e ignorando l'esistenza di altre persone danneggiate, pur avendone ricercata l'identificazione con la normale diligenza, ha pagato ad alcuna di esse una somma superiore alla quota spettante, risponde verso le altre persone danneggiate nei limiti dell'eccedenza della somma assicurata rispetto alla somma versata.

3. Nel caso di cui al comma 2, le altre persone danneggiate, il cui credito rimanesse insoddisfatto, hanno diritto di ripetere, da chi abbia ricevuto il risarcimento dall'impresa di assicurazione, quanto sarebbe loro spettato in applicazione del comma 1.

4. Nei giudizi promossi fra l'impresa di assicurazione e le persone danneggiate sussiste litisconsorzio necessario, applicandosi l'articolo 102 del codice di procedura civile. L'impresa di assicurazione può effettuare il deposito di una somma, nei limiti del massimale, con effetto liberatorio nei confronti di tutte le persone aventi diritto al risarcimento, se il deposito e' irrevocabile e vincolato a favore di tutti i danneggiati.

Art. 141.
Risarcimento del terzo trasportato

1. Salva l'ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito, il danno subito dal terzo trasportato e' risarcito dall'impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro entro il massimale minimo di legge, fermo restando quanto previsto all'articolo 140, a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, fermo il diritto al risarcimento dell'eventuale maggior danno nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile, se il veicolo di quest'ultimo e' coperto per un massimale superiore a quello minimo.

2. Per ottenere il risarcimento il terzo trasportato promuove nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro la procedura di risarcimento prevista dall'articolo 148.

3. L'azione diretta avente ad oggetto il risarcimento e' esercitata nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo sul quale il danneggiato era a bordo al momento del sinistro nei termini di cui all'articolo 145. L'impresa di assicurazione del responsabile civile può intervenire nel giudizio e può estromettere l'impresa di assicurazione del veicolo, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del capo IV.

4. L'impresa di assicurazione che ha effettuato il pagamento ha diritto di rivalsa nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile nei limiti ed alle condizioni previste dall'articolo 150.

Art. 142.
Diritto di surroga dell'assicuratore sociale

1. Qualora il danneggiato sia assistito da assicurazione sociale, l'ente gestore dell'assicurazione sociale ha diritto di ottenere direttamente dall'impresa di assicurazione il rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato ai sensi delle leggi e dei regolamenti che disciplinano detta assicurazione, sempreche' non sia già stato pagato il risarcimento al danneggiato, con l'osservanza degli adempimenti prescritti nei commi 2 e 3.

2. Prima di provvedere alla liquidazione del danno, l'impresa di assicurazione e' tenuta a richiedere al danneggiato una dichiarazione attestante che lo stesso non ha diritto ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie. Ove il danneggiato dichiari di avere diritto a tali prestazioni, l'impresa di assicurazione e' tenuta a darne comunicazione al competente ente di assicurazione sociale e potrà procedere alla liquidazione del danno solo previo accantonamento di una somma idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare.

3. Trascorsi quarantacinque giorni dalla comunicazione di cui al comma 2 senza che l'ente di assicurazione sociale abbia dichiarato di volersi surrogare nei diritti del danneggiato, l'impresa di assicurazione potrà disporre la liquidazione definitiva in favore del danneggiato. L'ente di assicurazione sociale ha diritto di ripetere dal danneggiato le somme corrispondenti agli oneri sostenuti se il comportamento del danneggiato abbia pregiudicato l'azione di surrogazione.

4. In ogni caso l'ente gestore dell'assicurazione sociale non può esercitare l'azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell'assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti.

Capo IV
PROCEDURE LIQUIDATIVE

Art. 143.
Denuncia di sinistro

1. Nel caso di sinistro avvenuto tra veicoli a motore per i quali vi sia obbligo di assicurazione, i conducenti dei veicoli coinvolti o, se persone diverse, i rispettivi proprietari sono tenuti a denunciare il sinistro alla propria impresa di assicurazione, avvalendosi del modulo fornito dalla medesima, il cui modello e' approvato dall'ISVAP. In caso di mancata presentazione della denuncia di sinistro si applica l'articolo 1915 del codice civile per l'omesso avviso di sinistro.

2. Quando il modulo sia firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte dell'impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso.

Art. 144.
Azione diretta del danneggiato

1. Il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante, per i quali vi e' obbligo di assicurazione, ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile, entro i limiti delle somme per le quali e' stata stipulata l'assicurazione.

2. Per l'intero massimale di polizza l'impresa di assicurazione non può opporre al danneggiato eccezioni derivanti dal contratto, ne' clausole che prevedano l'eventuale contributo dell'assicurato al risarcimento del danno. L'impresa di assicurazione ha tuttavia diritto di rivalsa verso l'assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione.

3. Nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione e' chiamato anche il responsabile del danno.

4. L'azione diretta che spetta al danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione e' soggetta al termine di prescrizione cui sarebbe soggetta l'azione verso il responsabile.

Art. 145.
Proponibilità dell'azione di risarcimento

1. Nel caso si applichi la procedura di cui all'articolo 148, l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi e' obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all'impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, anche se inviata per conoscenza, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti all'articolo 148.

2. Nel caso in cui si applichi la procedura di cui all'articolo 149 l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi e' obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto alla propria impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, inviata per conoscenza all'impresa di assicurazione dell'altro veicolo coinvolto, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti dagli articoli 149 e 150.

Art. 146.
Diritto di accesso agli atti

1. Fermo restando quanto previsto per l'accesso ai singoli dati personali dal codice in materia di protezione dei dati personali, le imprese di assicurazione esercenti l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti sono tenute a consentire ai contraenti ed ai danneggiati il diritto di accesso agli atti a conclusione dei procedimenti di valutazione, constatazione e liquidazione dei danni che li riguardano.

2. L'esercizio del diritto di accesso non e' consentito quando abbia ad oggetto atti relativi ad accertamenti che evidenziano indizi o prove di comportamenti fraudolenti. E' invece sospeso in pendenza di controversia giudiziaria tra l'impresa e il richiedente, fermi restando i poteri attribuiti dalla legge all'autorità giudiziaria.

3. Se, entro sessanta giorni dalla richiesta scritta, l'assicurato o il danneggiato non e' messo in condizione di prendere visione degli atti richiesti ed estrarne copia a sue spese, può inoltrare reclamo all'ISVAP anche al fine di veder garantito il proprio diritto.

4. Il Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro della giustizia, con regolamento adottato su proposta dell'ISVAP, individua la tipologia degli atti soggetti e di quelli esclusi dall'accesso e determina gli obblighi delle imprese, gli oneri a carico dei richiedenti, nonche' i termini e le altre condizioni per l'esercizio del diritto di cui al comma 1.

Art. 147.
Stato di bisogno del danneggiato

1. Nel corso del giudizio di primo grado, gli aventi diritto al risarcimento che, a causa del sinistro, vengano a trovarsi in stato di bisogno, possono chiedere che sia loro assegnata una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno.

2. Il giudice civile o penale, sentite le parti, qualora da un sommario accertamento risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente, con ordinanza immediatamente esecutiva provvede all'assegnazione della somma ai sensi del comma 1, nei limiti dei quattro quinti della presumibile entità del risarcimento che sarà liquidato con la sentenza. Se la causa civile e' sospesa ai sensi dell'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale, l'istanza e' proposta al presidente del tribunale dinanzi al quale e' pendente la causa.

3. L'istanza può essere riproposta nel corso del giudizio.

4. L'ordinanza e' irrevocabile fino alla decisione del merito.

Art. 148.
Procedura di risarcimento

1. Per i sinistri con soli danni a cose, la richiesta di risarcimento, presentata secondo le modalità indicate nell'articolo 145, deve essere corredata dalla denuncia secondo il modulo di cui all'articolo 143 e recare l'indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e del luogo, dei giorni e delle ore in cui le cose danneggiate sono disponibili per l'ispezione diretta ad accertare l'entità del danno. Entro sessanta giorni dalla ricezione di tale documentazione, l'impresa di assicurazione formula al danneggiato congrua offerta per il risarcimento ovvero comunica specificatamente i motivi per i quali non ritiene di fare offerta. Il termine di sessanta giorni e' ridotto a trenta quando il modulo di denuncia sia stato sottoscritto dai conducenti coinvolti nel sinistro.

2. L'obbligo di proporre al danneggiato congrua offerta per il risarcimento del danno, ovvero di comunicare i motivi per cui non si ritiene di fare offerta, sussiste anche per i sinistri che abbiano causato lesioni personali o il decesso. La richiesta di risarcimento deve essere presentata dal danneggiato o dagli aventi diritto con le modalità indicate al comma 1. La richiesta deve contenere l'indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e la descrizione delle circostanze nelle quali si e' verificato il sinistro ed essere accompagnata, ai fini dell'accertamento e della valutazione del danno da parte dell'impresa, dai dati relativi all'età, all'attività del danneggiato, al suo reddito, all'entità delle lesioni subite, da attestazione medica comprovante l'avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti, nonche' dalla dichiarazione ai sensi dell'articolo 142, comma 2, o, in caso di decesso, dallo stato di famiglia della vittima. L'impresa di assicurazione e' tenuta a provvedere all'adempimento del predetto obbligo entro novanta giorni dalla ricezione di tale documentazione.

3. Il danneggiato, pendenti i termini di cui al comma 2 e fatto salvo quanto stabilito al comma 5, non può rifiutare gli accertamenti strettamente necessari alla valutazione del danno alla persona da parte dell'impresa. Qualora ciò accada, i termini di cui al comma 2 sono sospesi.

4. L'impresa di assicurazione può richiedere ai competenti organi di polizia le informazioni acquisite relativamente alle modalità dell'incidente, alla residenza e al domicilio delle parti e alla targa di immatricolazione o altro analogo segno distintivo, ma e' tenuta al rispetto dei termini stabiliti dai commi 1 e 2 anche in caso di sinistro che abbia determinato sia danni a cose che lesioni personali o il decesso.

5. In caso di richiesta incompleta l'impresa di assicurazione richiede al danneggiato entro trenta giorni dalla ricezione della stessa le necessarie integrazioni; in tal caso i termini di cui ai commi 1 e 2 decorrono nuovamente dalla data di ricezione dei dati o dei documenti integrativi.

6. Se il danneggiato dichiara di accettare la somma offertagli, l'impresa provvede al pagamento entro quindici giorni dalla ricezione della comunicazione.

7. Entro ugual termine l'impresa corrisponde la somma offerta al danneggiato che abbia comunicato di non accettare l'offerta. La somma in tal modo corrisposta e' imputata nella liquidazione definitiva del danno.

8. Decorsi trenta giorni dalla comunicazione senza che l'interessato abbia fatto pervenire alcuna risposta, l'impresa corrisponde al danneggiato la somma offerta con le stesse modalità, tempi ed effetti di cui al comma 7.

9. Agli effetti dell'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo, l'impresa di assicurazione non può opporre al danneggiato l'eventuale inadempimento da parte dell'assicurato dell'obbligo di avviso del sinistro di cui all'articolo 1913 del codice civile.

10. In caso di sentenza a favore del danneggiato, quando la somma offerta ai sensi dei commi 1 o 2 sia inferiore alla metà di quella liquidata, al netto di eventuale rivalutazione ed interessi, il giudice trasmette, contestualmente al deposito in cancelleria, copia della sentenza all'ISVAP per gli accertamenti relativi all'osservanza delle disposizioni del presente capo.

11. L'impresa, quando corrisponde compensi professionali per l'eventuale assistenza prestata da professionisti, e' tenuta a richiedere la documentazione probatoria relativa alla prestazione stessa e ad indicarne il corrispettivo separatamente rispetto alle voci di danno nella quietanza di liquidazione. L'impresa, che abbia provveduto direttamente al pagamento dei compensi dovuti al professionista, ne dà comunicazione al danneggiato, indicando l'importo corrisposto.

Art. 149.
Procedura di risarcimento diretto

1. In caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato.

2. La procedura di risarcimento diretto riguarda i danni al veicolo nonche' i danni alle cose trasportate di proprietà dell'assicurato o del conducente. Essa si applica anche al danno alla persona subito dal conducente non responsabile se risulta contenuto nel limite previsto dall'articolo 139. La procedura non si applica ai sinistri che coinvolgono veicoli immatricolati all'estero ed al risarcimento del danno subito dal terzo trasportato come disciplinato dall'articolo 141.

3. L'impresa, a seguito della presentazione della richiesta di risarcimento diretto, e' obbligata a provvedere alla liquidazione dei danni per conto dell'impresa di assicurazione del veicolo responsabile, ferma la successiva regolazione dei rapporti fra le imprese medesime.

4. Se il danneggiato dichiara di accettare la somma offerta, l'impresa di assicurazione provvede al pagamento entro quindici giorni dalla ricezione della comunicazione e il danneggiato e' tenuto a rilasciare quietanza liberatoria valida anche nei confronti del responsabile del sinistro e della sua impresa di assicurazione.

5. L'impresa di assicurazione, entro quindici giorni, corrisponde la somma offerta al danneggiato che abbia comunicato di non accettare l'offerta o che non abbia fatto pervenire alcuna risposta. La somma in tale modo corrisposta e' imputata all'eventuale liquidazione definitiva del danno.

6. In caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i termini previsti dall'articolo 148 o di mancato accordo, il danneggiato può proporre l'azione diretta di cui all'articolo 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione. L'impresa di assicurazione del veicolo del responsabile può chiedere di intervenire nel giudizio e può estromettere l'altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato ferma restando, in ogni caso, la successiva regolazione dei rapporti tra le imprese medesime secondo quanto previsto nell'ambito del sistema di risarcimento diretto.

Art. 150.
Disciplina del sistema di risarcimento diretto

1. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro delle attività produttive, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice sono stabiliti:

a) i criteri di determinazione del grado di responsabilità delle parti anche per la definizione dei rapporti interni tra le imprese di assicurazione;

b) il contenuto e le modalità di presentazione della denuncia di sinistro e gli adempimenti necessari per il risarcimento del danno;

c) le modalità, le condizioni e gli adempimenti dell'impresa di assicurazione per il risarcimento del danno;

d) i limiti e le condizioni di risarcibilità dei danni accessori;

e) i principi per la cooperazione tra le imprese di assicurazione, ivi compresi i benefici derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto.

2. Le disposizioni relative alla procedura prevista dall'articolo 149 non si applicano alle imprese di assicurazione con sede legale in altri Stati membri che operano nel territorio della Repubblica ai sensi degli articoli 23 e 24, salvo che le medesime abbiano aderito al sistema di risarcimento diretto.

3. L'ISVAP vigila sul sistema di risarcimento diretto e sui principi adottati dalle imprese per assicurare la tutela dei danneggiati, il corretto svolgimento delle operazioni di liquidazione e la stabilità delle imprese.

Vediamo cosa ci dice sul punto il collega Avv. Fabio Quadri (esperto della materia)  Riportiamo uno stralcio di un suo parere pubblicato in Overlex:

 "Da una lettura di detto regolamento emerge che i danneggiati, le vittime della strada e i professionisti che tutelano costoro non solo sono stati ignorati ma ora, questi ultimi, vogliono proprio essere eliminati.

 La lettura del regolamento evidenzia alcuni elementi ben precisi:

1.      il regolamento non ha nulla di tecnico e sembra redatto da soggetti che non conoscono i meccanismi risarcitori in ambito di R.C.A.;

2.     il regolamento non risolve i contrasti del Codice delle Assicurazioni con il codice civile e di procedura civile, nonché con quello che possiamo definire il "diritto vivente" ed oltre quarant'anni di giurisprudenza (senza parlare della Costituzione);

3.     l'unica spesa accessoria regolamentata è quella relativa alle spese sostenute dal danneggiato per consulenza o assistenza professionale; ovvero si arriva a sostenere che tale attività non deve essere considerata una spesa accessoria (e quindi esclusa dal risarcimento);

4.     non si dice quali siano i benefici concreti, previsti dall'art. 150, lettera e), derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto se non indicando una generica ottimizzazione della gestione, controllo dei costi e innovazione dei contratti, senza dare parametri di riferimento precisi di come ciò debba avvenire.

Credo sia invece evidente come, al contrario, al danneggiato, ma anche all'assicurato, il risarcimento diretto porterà solo svantaggi rispetto al sistema attuale. Vediamo quali:

  • La richiesta di risarcimento

L'art. 5 del Regolamento prevede che il danneggiato, che si ritiene non responsabile del sinistro, rivolga la richiesta di risarcimento alla propria impresa assicuratrice mediante raccomandata r.r., fax o telegramma. In primo luogo è palese come tale procedura, in confronto all'attuale C.I.D., penalizzi il danneggiato -il quale oggi si limita a consegnare copia della C.A.I. alla propria compagnia assicuratrice- poichè, con il nuovo Codice, dovrà anche inviare una richiesta di risarcimento. Datosi che è noto che nel sistema attuale, quando non si applica la procedura C.I.D., la raccomandata viene inviata non dal danneggiato direttamente ma dal proprio agente o dal proprio patrocinatore, ci si deve chiedere se col nuovo sistema gli agenti assicurativi (che saranno l'unico interlocutore col danneggiato) provvederanno ad auto-inviarsi la raccomandata di richiesta. Naturalmente, poi, la richiesta di risarcimento dovrà sottostare ad una formalità ben precisare, ovvero contenere tutta una serie di elementi così come elencati all'art. 6 del Regolamento.

  • L'allungamento a dismisura dei tempi concessi per il risarcimento alle compagnie assicuratrici.

Nel sistema attuale, i tempi concessi per la liquidazione alla compagnia assicuratrice sono di giorni 30 in caso di constatazione amichevole sottoscritta, o giorni 60 dalla ricezione della richiesta di risarcimento nella procedura ordinaria.  Il Regolamento al risarcimento diretto prevede ora, invece, che la compagnia assicuratrice, ricevuta la richiesta di risarcimento (sempre ammesso che l'abbia ricevuta), se questa è incompleta (come avviene nel 90% dei casi) abbia trenta giorni di tempo per chiedere al danneggiato l'integrazione degli elementi mancanti. Si deve notare che, ad esempio, nel caso di danni fisici, il danneggiato, se ha subito una invalditià permanente, deve allegare anche una copia della relazione medico legale alla richiesta di risarcimento. Quindi, ottenute tali integrazioni, prima di fare l'offerta, la compagnia ha altri 60 giorni di tempo nel caso di danno alle cose (30 se la C.A.I. è firmata) ed addirittura 90 giorni in caso di lesioni. Concretamente, quindi, nel caso di danno alle cose i tempi concessi alla compagnia per fare l'offerta (non per liquidare, poiché per questo si devono aggiungere altri 15 giorni previsti dall'art.149) diventano i seguenti.: 30 giorni di tempo dalla ricezione della raccomandata per chiedere le integrazioni e i chiarimenti necessari; ricevuti questi chiarimenti (e si deve considerare anche il tempo necessario al danneggiato per fornirli detti chiarimenti) altri 60 giorni di tempo. Possiamo supporre, quindi, almeno 100 giorni per il danno a cose. Senza contare il fatto che la compagnia potrebbe ripetere nel tempo diverse volte la richiesta di chiarimenti; -per i danni fisici, una volta ricevuta la relazione medico legale dal danneggiato (e cioè, per le lesioni più lievi almeno 90 giorni dal sinistro, per quelli più serie anche 180 ma fino a 360 giorni e oltre, dovendo attendere la stabilizzazione dei postumi) , altri 90 giorni per fare l'offerta. E' lecito, pertanto, supporre che in caso di lesioni alla compagnia è concesso un termine minimo per fare l'offerta di giorni 180. Ma questo nei casi più semplici. Ma non è tutto. Qualora tale offerta non sia ritenuta congrua, attesi altri 15 giorni per ricevere materialmente la liquidazione, il danneggiato potrà (così dice l'art.149 del Codice) intraprendere l'azione direttamente nei confronti della propria compagnia. Ovvero, mentre col sistema attuale, per il danno a cose, al sessantunesimo giorno si può intraprendere la, giusta, azione giudiziale, nel caso del risarcimento diretto questo termine è posticipato a dismisura. Se poi il danneggiato, terminato tutto questo lungo iter d'attesa, decidesse d'intraprendere l'azione, non nei confronti della propria compagnia, ma nei confronti del civile responsabile ex art. 145 del Codice, dovrebbe ex novo far decorrere tutti i termini, così come previsto anche dall'art. 148. In sostanza si rischia che per un semplice danno a cose debba passare almeno un anno prima di poter procedere con l'azione giudiziale nei confronti del responsabile civile e, nel caso di lesioni, molto di più.

  • L'assistenza legale al danneggiato

Con l'art.9 del Regolamento si è appalesato quanto si voleva ottenere: l'eliminazione totale di diritti di assistenza legale a favore dei danneggiati.  Infatti, è previsto che le spese sostenute dal danneggiato per consulenza e assistenza professionale diverse da quelle medico-legale non debbano considerarsi spese accessorie; ovvero, il danneggiato se vuole rivolgersi all'avvocato lo deve fare a proprie spese. Credo che non serva essere esperti di diritto per capire che ciò violi due norme fondamentali previste dalla carta costituzionale: il diritto alla parità di trattamento ed il diritto alla difesa. Non voglio in questa sede dilungarmi oltre circa l'incostituzionalità del risarcimento diretto, avendo già avuto modo di trattare l'argomento con altri articoli. Ma quello che voglio sottolineare in questa sede è il fondo che ha toccato chi ha redatto il regolamento. Infatti, il primo comma dell'art. 9 prevede che l'assistenza tecnica (prima data dagli avvocati), al fine d'ottenere la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno, debba essere fornita proprio dalla compagnia assicuratrice che deve effettuare il risarcimento!!! Cioè la stessa compagnia assicuratrice che deve pagare dovrebbe suggerire al danneggiato come fare per ottenere un giusto (o maggiore) risarcimento? Chissà perché ma mi sembrava di ricordare che le compagnie assicuratrice fossero società a fini di lucro e non enti di beneficenza. O al Governo non se ne sono accorti?

Ancora: riportiamo uno scritto sempre del collega Avv. Fabio Quadri sul parere del Consiglio di Stato.

Fonte:Overlex

 "Ho dovuto rileggere ripetutamente il parere delo 19 dicembre 2005 del Consiglio di Stato, relativo allo  schema del DPR recante l'attuazione dell'art. 150 del Codice delle Assicurazioni per  cercare di capirne il significato, la portata e, soprattutto, la coerenza. A onor del vero, ancora oggi, rinvengo nello stesso solo grosse contraddizioni e nessuna certezza. Cercherò, allora, di esplicitare i miei dubbi esaminando passo-passo quanto riportato nel parere.

Il mancato preventivo parere del Consiglio di Stato ed il parere delle competenti Commissioni Parlamentari

Osserva il Consiglio di Stato che "le disposizioni recanti la procedura di risarcimento diretto (art.149) e la relativa disciplina (art.150), risultano inserite nel Codice delle Assicurazioni sulla base degli elementi e delle indicazioni contenuti nel parere reso dalle competenti Commissioni parlamentari: non erano presenti nello schema di decreto legislativo sul quale questa Sezione ha previamente espresso il suo parere (Adunanza del 14 febbraio 2005)".

Per quanto concerne il parere delle competenti Commissioni, il Consiglio di Stato può fare solo riferimento al parere espresso dalla X Commissione del Senato, laddove, nella seduta del 22 giugno 2005, esaminando un testo che non conteneva il risarcimento diretto, l'on. Maconi (DS-U) proponeva l'inserimento dell'indennizzo diretto degli assicurati. Non mi risulta che altre commissioni parlamentari, quali, ad esempio, quella per gli Affari Costituzionali o la Commissione Giustizia, sia siano espresse in tal senso esaminando lo schema di Cedreto Legislativo antecedente al Codice delle Assicurazioni.  Mi risulterebbe, invece, che undici Senatori della Repubblica, in data 8 novembre 2005, ovvero prima del parere del Consiglio di Stato, abbiano presentato una proposta di legge con la quale si richiede proprio l'abrogazione dell'indennizzo diretto. E che due Senatori fra essi, tra cui il primo firmatario, siano proprio membri della X Commissione del Senato. Ora, l'aver proposto un "risarcimento" diretto non meglio specificato prima dell'entrata in vigore del Codice, alla luce della successiva richiesta di abrogazione fatta da alcuni membri -e non- della medesima Commissione, non può certo far pensare, come ha invece ritenuto il Consiglio di Stato, che il risarcimento diretto, così come è stato introdotto, corrisponda "agli elementi e alle indicazioni della competente Commissione". Se così fosse stato, ovvero se gli artt. 149 e 150 corrispondessero esattamente alla volontà parlamentare, non si comprenderebbe perché gli stessi parlamentari di area governativa (cioè della maggioranza) ne abbiano immediatamente chiesto l'abrogazione. Non solo, ma durante l'esame del disegno di legge abrogativo alle commissioni congiunte di Giustizia e Attività produttive, il Presidente della Commissione Giustizia Antonino Caruso ha testualmente dichiarato" Vi è poi un ulteriore motivo che milita a favore della soppressione dei citati articoli del decreto delegato ed è quello relativo all'eccesso di delega rispetto ai principi e criteri direttivi della legge n. 229 del 2003 che erano diretti alla tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli sotto il profilo della trasparenza delle condizioni contrattuali e dell'informativa preliminare, contestuale e successiva alla conclusione del contratto" Eccesso di delega ribadito nella stessa seduta anche dal Senatore Semeraro membro, come già detto, della Commissione Attività Produttive. E' quindi una forzatura ritenere che una presunta indicazione della X Commissione del Senato, possa sopperire integralmente al mancato preventivo parere del Consiglio di Stato, come qualcuno vorrebbe leggere ora nel parere del 19 dicembre 2005 qui in commento. Non si può, oltretutto, dimenticare che il preventivo (e non postumo) parere era richiesto proprio dalla Legge Delega 29 luglio 2003 n.229. Pertanto, il Consiglio di Stato avrebbe dovuto rispondere ad un altro quesito, ovvero: poteva il Governo emanare una norma di legge senza il preventivo parere del Consiglio di Stato, ancorché ciò fosse chiesto dalla Legge Delega? 

La tutela del consumatore e del contraente più debole

Gli artt 149 e 150 del Codice delle Assicurazioni, nonché il successivo regolamento attuativo esaminato dal Consiglio di Stato, devono necessariamente adeguarsi ai principi e criteri direttivi della Legge Delega, la quale, espressamente li indica nella tutela del consumatore e del contraente più debole. Sinceramente, gli artt. 5, 6 e 7, i quali disciplinano le modalità con cui il danneggiato deve presentare la richiesta di risarcimento, hanno notevolmente complicato questo adempimento, soprattutto laddove con la precedente Convenzione Indennizzo Diretto bastava presentare la copia della Constatazione Amichevole d'Incidente sottoscritta al proprio assicuratore per essere risarciti. Nulla dice il Consiglio di Stato in merito a tale situazione peggiorativa. Per non parlare poi dei criteri di ripartizione delle responsabilità dell'incidente e dell'attribuzione del relativo grado di responsabilità che ora sono tipizzati sulla base di alcuni baremés predeterminati, e non più, quindi, in base ai principi del codice civile, del codice della strada o dell'apprezzamento del Giudice. E mi sembra persino superfluo far notare come l'aver escluso fra i danni accessori le spese di consulenza legale vada nel senso opposto alla tutela del consumatore e del contraente più debole, a tutto vantaggio esclusivo delle compagnie assicuratrici che non avranno nella fase stragiudiziale alcun contradditore. Ma il vero controsenso nel parere del Consiglio di Stato è che lo stesso, come vedremo, giustifica lo schema di regolamento pur definendolo "restrittivo" dei diritti del consumatore e del contraente più debole. Il Consiglio di Stato, infatti equivoca sui principi da seguire così come imposti dalla Legge Delega: ritiene, infatti, che il prevedere presunti benefici per gli assicurati (e vedremo poi cosa consiglia il Supremo Giudice) coincida con la tutela del consumatore e contraente più debole previsto dalla Legge Delega. Non ho timore di smentita quando affermo che restringere i diritti dei consumatori-danneggiati, come affermato dallo stesso Consiglio di Stato, va nel senso opposto a quello voluto e previsto nella delega parlamentare. Infatti, presunti benefici in temi di "ottimizzazione della gestione", "controllo dei costi" e "innovazione dei contratti" (come previsto dall'art. 14 dello schema di regolamento) nulla hanno a che vedere con la tutela dei contraenti deboli.
Il risarcimento diretto un'autonomia negoziale?

L'art. 149 del Codice delle Assicurazioni prevede che il risarcimento diretto si applichi nel caso di scontro fra veicoli assicurati per la responsabilità civile obbligatoria. In questo caso i danneggiati devono chiedere il risarcimento del danno alla impresa assicuratrice del veicolo danneggiato. Pertanto, il danneggiato in questione è sottoposto a due obblighi: 1) contrarre una polizza assicurativa; 2) chiedere il risarcimento del danno alla medesima compagnia. Non c'è scelta. Il Consiglio di Stato, giustificando lo schema di regolamento nel punto in cui esclude fra i danni accessori le spese legali, definisce tale limitazione dei diritti una "restrizione consapevole e liberamente accettata dal danneggiato che intende utilizzare questo meccanismo risarcitorio". Se ci si fermasse qui nella lettura del parere, sembrerebbe che il danneggiato possa autonomamente e liberamente scegliere se attivare la procedura di risarcimento diretto oppure chiedere il risarcimento secondo i meccanismi ordinari, ovvero quelli previsti dall'art.144, alla compagnia del civile responsabile. Invece no. Infatti, secondo il Consiglio di Stato la libertà del danneggiato consisterebbe solo nell'accettare o meno l'offerta (restrittiva) dalla propria compagnia e, in caso negativo (ovvero, di non accettazione), di poterla convenire in giudizio. Secondo il Supremo Giudice tale meccanismo semplificato (?) rientrerebbe nell'area dell'autonomia negoziale (??) delle parti che stipulano il contratto d'assicurazione. In sostanza il danneggiato che è obbligato a stipulare una polizza assicurativa, che è obbligato ad accettare le Condizioni Generali di Assicurazione e che, quindi, è poi obbligato ad accettare un risarcimento senza potersi far assistere da un professionista se non a proprie spese, avrebbe autonomia negoziale? E in cosa consisterebbe questa autonomia? Il danneggiato (che, rammentiamolo, è una vittima di un sinistro che ha subito un danno ingiusto in conseguenza di un fatto illecito) può forse negoziare al momento della stipula della polizza se accettare o meno la procedura di risarcimento diretto? No, perché la legge lo obbliga in tal senso. Può negoziare con la propria compagnia quanto deve essere risarcito a proprio favore? No, perché ci sono dei baremés per il grado di responsabilità e non può avvalersi di un professionista che contratti per lui se non a proprie spese. Può ottenere senza ricorrere al giudice l'integrale risarcimento, ivi incluse le sacro sante spese legali? No, la legge lo vieta. La facoltà di ricorrere alla giustizia ordinaria non può ritenersi una "autonomia negoziale" ma solo un diritto costituzionalmente garantito. La vera autonomia negoziale ci sarebbe stata solo se il meccanismo del risarcimento diretto fosse stato facoltativo ovvero se il danneggiato, consapevolmente al momento del sinistro e ad ogni sinistro, avesse potuto realmente scegliere se attivare o meno la proceduta ex art. 149 oppure attivare la procedura (stragiudiziale) ex art. 148. Così come è prevista nello schema di regolamento è solo una imposizione restrittiva che nulla ha di negoziale.

I benefici derivanti agli assicurati dal risarcimento diretto.

Finalmente, il Consiglio di Stato su un punto è chiaro: lo schema di regolamento, così com'è non prevede specificatamente quei benefici per gli assicurati che giustifichino tali restrizioni dei loro diritti. Anche qui, però, non si comprende se tale censura sia limitata al caso di risarcimento in forma specifica o nella sua integralità al meccanismo del risarcimento diretto. Poiché tali benefici, che dovevano essere espressamente indicati, come previsto dall'art. 150 lettera e) del Codice delle Assicurazioni, non sono stati precisati nello schema di regolamento se non in modo alquanto generico, non possiamo se non ritenere che il Consiglio di Stato si riferisse al meccanismo del risarcimento diretto nella sua integrità. Non possiamo, infatti, credere che i benefici (che altro non sono se non una riduzione dei premi) per gli assicurati debbano esservi solo in caso di risarcimento del danno in forma specifica previsto contrattualmente. Naturalmente viene, comunque, da chiedersi se per gli assicurati una presunta riduzione di premio in cambio di un restrittivo (ovvero minore e non integrale) risarcimento corrisponda realmente ad un beneficio. Anche se, rammentiamolo, la Legge Delega non parlava di benefici ma bensì di tutela, che è cosa ben diversa. E prevedere per legge una soglia di riduzione del prezzo, così come consigliato dal Consiglio di Stato, rispetta la direttiva comunitaria 92/49/CEE denominata "Libertà Tariffaria ed abolizione dei controlli preventivi e sistematici sulle tariffe e sui contratti"? Pare assurdo che sia lo stesso Consiglio di Stato suggerire un sistema di controllo preventivo dei premi da parte dello Stato. Si deve fare, infine, un'altra considerazione. Il risarcimento in forma specifica (ovvero, la riparazione del danno al veicolo ad opera di carrozzerie convenzionate con la stessa compagnia assicuratrice), previsto dall'art. 14 dello schema di regolamento, altro non si ridurrà se non ad una limitazione della concorrenza fra auto riparatori. Infatti, in questo modo i carrozzieri che vorranno continuare a restare sul mercato dovranno necessariamente accettare i costi imposti dalle compagnie assicuratrici, in barba alla legge della domanda-offerta e a tutte le norme dell'antitrust. In sostanza, ciò che è uscito dalla porta (ovvero l'accordo ANIA-CARROZZIERI) rientra oggi dalla finestra. A discapito, oltretutto, della sicurezza stradale. Infatti, sarà naturale che i carrozzieri, per restare nei costi imposti, dovranno necessariamente "risparmiare" a propria volta sui costi di riparazione. Alla lunga il beneficio sarà solo per le compagnie a danno degli utenti stessi.

COMMENTO DI FERNANDO: Non ho niente da aggiungere al chiarissimo parere del collega Avv. Fabio Quadri  che condivido in toto. Le lobbies delle Assicurazioni continuano ancora  a dettare leggi per la tutela dei propri interessi a danno degli assicurati. In bocca al lupo Italia!


 

Condividi post
Repost0

Presentazione

Profilo

  • Ferdy
  • “IMPERARE SIBI MAXIMUM IMPERIUM EST” (Seneca)  Che ne dite? 
BREVI CENNI SUL MIO CONTO
 Parlare di se stessi è una cosa molto difficile perché dovremmo essere nello stesso tempo, arbitri e giudici di Noi stessi. Quasi mai lo siamo.
Pecchiamo
  • “IMPERARE SIBI MAXIMUM IMPERIUM EST” (Seneca) Che ne dite? BREVI CENNI SUL MIO CONTO Parlare di se stessi è una cosa molto difficile perché dovremmo essere nello stesso tempo, arbitri e giudici di Noi stessi. Quasi mai lo siamo. Pecchiamo

Contatore Ninestat

Web stats powered by ninestats.com

-----------------------------
Online oggi.......

Testo Libero

 

FACEBOOK

 

Archivi

Anna Politkovskaja


Per non dimenticare

 

---------------------------------------------------

Categorie